Ho infatti deciso di riportare qui un mio racconto, abbastanza recente (credo risalga alla seconda metà del 2013, per la precisione), chiamato "Luce".
Si tratta di una storia breve - anzi, no: brevissima! - incentrata sul tema della licantropia, un argomento che, come alcuni di voi certamente sapranno, mi ha sempre intrigato...
Se vi avanzano dieci minuti, e voleste essere così infinitamente gentili da dare un'occhiata al raccontino e farmi sapere cosa ne pensate, vi guadagnereste la mia eterna gratitudine, statene pur certi! :D
Luce
“Maybe
there's a devil
(or
something like it)
inside
of me.”
Utada
Hikaru – Devi Inside
Giulia
e Mia stanno cantano a squarciagola “Marry the night” insieme a
Lady Gaga, quando la vediamo venire verso di noi.
“Gesù
Cristo”, esclama Carlo, ridacchiando. Gira il volante e si tira giù
i ray-ban sul dosso del naso. La Mercedes di suo padre si ferma
rombando su un lato della strada, mentre sulle sue labbra si forma un
sorriso. “Non è quella svitata di Luce d'Ambrosia, quella
laggiù?”
Mi
sporgo sul bordo del sedile posteriore e abbraccio lo schienale di
quello davanti.
“Eh
sì, cazzo. E' proprio lei!”, conferma Mia.
“Che
si è messa, una crine di cavallo intorno alle spalle?”,
chiede Giulia. Mia raglia una risata.
“Raglia”
è la parola che più si avvicina a descrivere qualsiasi
suono proveniente dalla gola della mia amica bruna, del resto.
“E
una corona di rape intorno al collo”, aggiunge, liberando uno
sbuffo liquido dalle narici intasate.
Luce
continua a camminare al centro della strada, inconsapevole delle
nostre occhiate beffarde e delle frecciate maligne.
Non
che farebbe differenza per lei, in ogni caso.
Il
sole tinge i suoi capelli d'oro. Le ricadono selvaggi lungo le
spalle, una matassa di grano filigranato che ondeggia a tempo con il
suo passo deciso.
A
scuola è tradizione, persino fra le matricole del primo anno,
prendere in giro Luce proprio a causa di questa sua camminata
baldanzosa.
A
onor del vero è tradizione prendere in giro Luce praticamente
per qualsiasi cosa: dal suo stile semplice e sciatto, agli
stivaloni dell'esercito della salvezza che sua madre avrà
ripescato da chissà dove; dal suo cipiglio ai pantaloni
mimetici che indossa un giorno sì e l'altro pure; dalle
sottili cicatrici bianche che le solcano gli avambracci all'ultima
sparata di quell'ubriacone di suo padre, uno pseudo-predicatore da
strapazzo che non fa che cianciare del Giudizio Universale e di come
tutti noi peccatori infedeli, alla fine, soffocheremo annegati nel
nostro sangue, strizzati nel pugno di ferro del suo amorevole Dio.
Non
ho mai visto Luce reagire a una di queste provocazioni. Non credo che
sia mai successo, ne avrei sentito parlare. Le voci circolano in
fretta, rimbalzando lungo i corridoi del nostro liceo.
Una
volta, d'inverno, alcuni studenti di un'altra scuola - un istituto
superiore dalla pessima fama, in cui solo i casi irrecuperabili
venivano mandati a “studiare” (un grazioso eufemismo che stava a
significare: tenerli occupati, in modo che stessero il più a
lungo possibile fuori dai piedi e non rompessero troppo le scatole
alla brava gente del paese) nascosero delle pietre dentro una
manciata di neve e cominciarono a bersagliare le spalle di Luce. Non
so cosa si aspettassero di ottenere.
Lei,
in ogni caso, non fece una piega.
Avete
presente quando genitori e insegnanti vi dicono che basta ignorare i
bulli, non dar loro peso, rifiutarsi di fare il loro gioco?
Sono
tutte stronzate.
I
bulli sono dei vigliacchi e dei predatori, e, proprio come tutte le
iene della Terra, non agiscono mai se non sono assolutamente sicuri
di avere le spalle coperte, un piccolo branco di spazzini e
mangiacarogne a supportarli.
Non
hanno bisogno di alcuna collaborazione da parte della vittima.
E'
il loro stesso pubblico a eccitarli, a incoraggiare ulteriori angherie.
Ovviamente,
il fatto che Luce riesca sempre a mantenersi così
fottutamente, innaturalmente impassibile, non fa altro che far salire
il sangue alla testa di tutti ancora più in fretta. Quella sua
espressione bianca e neutrale, lo sguardo glaciale, scatenano
l'ilarità dei ragazzi e sguinzagliano la malvagità
delle ragazze.
In
quanto a me, sono disgustata dalla sua arrendevolezza e non provo che
disprezzo per questa sua stupida filosofia da ragazza-agnello alla
“porgete-l'altra-guancia”, un'idea che il suo padre beone e manesco deve
averle inculcato a forza di sermoni e invettive sputacchiate lungo
tutta la sua infanzia.
Né
la sua granitica aria da implacabile dura, né il gelo che
emana dai suoi occhi azzurri la aiuteranno mai a sottrarsi dai
soprusi degli altri, e sospetto che lei lo sappia, e che non gliene
freghi assolutamente niente.
Bussa
al finestrino e fa cenno a Carlo di abbassarlo.
“Dio!”
Sento Giulia boccheggiare. “E' un fucile, quello che ha in mano?”
Lo
è. Un fucile da caccia, o forse una carabina.
Non
ho la minima idea della differenza. Sono iscritta al wwf da quando
avevo dieci anni, e l'idea di sparare a una creatura che vive e
respira mi fa sussultare lo stomaco in un modo tale che nessun
ragazzo potrà mai sognarsi di eguagliare.
“Che
succede, d'Ambrosia?”, chiede Carlo allegramente. “Abbiamo
interrotto uno dei tuoi tete-a-tete con la fauna locale?”
Luce
ci scruta uno per uno, corruga la fronte e si strofina un
sopracciglio.
“Dove
siete diretti?”
Dove
siete diretti.
Luce
d'Ambrosia è una di quelle persone che parlano sempre come se
fossero dei cazzo di libri stampati.
Dove siete diretti.
Abbasso in fretta il finestrino e sbotto: “Che te ne
importa?”
Lei mi fissa con una di quelle sue espressioni severe.
Devo trattenermi dall'afferrarla per una spalla e scuoterla, gridando
fino a lacerarmi i polmoni: Hai sedici anni, porca di quella
puttana troia! Svegliati! Smettila di atteggiarti a salvatrice del
mondo e vedi di rilassarti!
Non lo faccio, però. Anche se mi formicolano i
polpastrelli, anche se il braccio comincia a tremarmi lievemente...
distolgo il capo e mi metto a fissare ostentatamente fuori dal
parabrezza, con le braccia incrociate.
“La cascina di mio nonno è a dieci chilometri
da qui, in fondo alla strada”, dice Carlo.
Mia alza gli occhi al cielo. “Ma che fa, si mette a
darle spiegazioni, adesso?”, bisbiglia a beneficio mio e di Giulia.
Io non sono stupita. Immagino che Luce goda di un certo
suo... fascino, se questa è la parola giusta. Una sorta di
magnetismo carismatico, che trapela dalla sua persona nonostante i
vestiti grossolani e il taglio di capelli antidiluviano. Madre Natura
è stata generosa con lei.
Questo è un altro dei motivi per cui tutti ce
l'hanno tanto con Luce, suppongo. I ragazzi perché si sentono
attratti da lei nonostante tutto, ma sanno benissimo di non avere un
solo straccio di possibilità di averla. Le ragazze perché
sanno che lei non spreca un solo minuto della giornata per cercare di
risultare attraente, salvo poi esserlo comunque e senza che questo le richieda il minimo
sforzo, mentre a loro occorre metà del pomeriggio soltanto per
piastrarsi la chioma oppure passarsi due dita di trucco sulla faccia.
Carlo rivolge a Luce il più smagliante dei suoi
sorrisi. “Faremo un barbecue. Abbiamo portato carne, tanta carne,
bistecche e arrosticini. Yum! Buona pappa!”
Si passa una mano sullo stomaco e continua a cercare di
ammaliarla con quella sua aria da giuggiolone tutto sorrisi, candore
e necessità primarie.
Luce mi guarda. Sta cercando insistentemente di
incrociate il mio sguardo, e non riesco a capire il perché. So
soltanto che la cosa mi irrita oltre ogni dire, perciò mi
limito a fare del mio meglio per ignorarla.
“Dovete tornare indietro. Ora.”
“Cosa? Ma abbiamo portato anche la birra... giusto,
ragazze?”, replica Carlo, agitandosi sul sedile. Sogghigna. “Più
tardi, ci raggiungeranno anche altri amici”, aggiunge in tono
confidenziale. “Credo che Giulia abbia intenzione di ubriacarsi e
di far perdere la verginità a un capellone di città che probabilmente ce l'ha così piccolo da averlo perso nel
borsellino di sua madre quando ancora aveva cinque anni. Dico bene,
Giulia?”
“Vaffanculo”, risponde lei, laconica. Il suo tono
serafico suscita ancora una volta l'ilarità fragorosa di Mia.
Rido anch'io, anche se non lo trovo divertente: più che altro
(come ormai inizia a capitarmi sempre più spesso) mi viene voglia di ridere perché
non sembra che ci sia molto altro da fare.
“Sarà il caso che Giulia vada a fargliela
perderla da qualche altra parte”, ribatte Luce, senza accennare
neppure un sorriso. “Non potete restare qui stanotte. Tornate in
paese e basta. Dico sul serio, ragazzi.”
Per la prima volta, mi pare di notare una nota di
autentica emozione nella salmodia monocorde della sua voce. Mi volto,
incuriosita.
Avrei dovuto sapere che era una trappola, naturalmente.
I suoi occhi inchiodano i miei e mi trafiggono come un migliaio di
aghi acuminati.
Carlo segue la direzione del suo sguardo, poi si volta a
metà sul sedile per rivolgersi a me. Inarca le sopracciglia.
“Siria?”
“Andate a casa.” Ancora una volta, ho la netta
impressione che Luce si stia rivolgendo a me. “Ci sarà la
luna piena. E' pericoloso.”
I miei amici scoppiano a ridere, praticamente
all'unisono: è come se un burattinaio avesse tirato tutti i
fili giusti nello stesso istante, spingendoli a reclinare il capo e a
riempire l'abitacolo di tutti quei suoni striduli.
“Cazzo, d'Ambrosia, non fai sul serio!”, esclama
Carlo, pizzicandosi una palpebra fra l'unghia del pollice e quella dell'indice. “Di cosa hai paura? Dei lupi mannari? Vorrà
dire che ci tireremo dietro un paletto di legno!”
“I paletti sono per i vampiri, coglione”, lo
corregge Giulia.
“Cos'è, non lo guardi mai, 'True Blood?'”,
rincara la dose Mia, dando a Carlo uno spintone attraverso i sedili.
“”E' a quello che serve il fucile?”, chiedo io,
indicando la canna perfettamente oleata. “E' caricata a proiettili
d'argento?”
“Per favore, andate a casa.”
“Cristo!” Giulia si sdraia a metà su di me
per arrivare al finestrino.“Per favore, vaffanculo, d'Ambrosia!
Perché non te ne torni alla tua fattoria e non ti rimetti a
sparare ai barattoli, o a cantare l'alleluia con tua madre e i tuoi
fratelli ritardati, o a fare qualsiasi altra cazzo di cosa capiti di fare agli
svitati come voi nel tempo libero? Stiamo solo andando a farci
qualche birra e spassarcela un po', va bene? E' sabato. Satana non
spalancherà i cancelli dell'inferno solo perché noi
peccatori ci siamo riversati in questa parte della campagna
d'Abruzzo! E tuo padre non è un lupo. Puzza come se lo fosse,
e fa infinitamente più schifo, ma è solo un pezzo di
merda come tanti, non una creatura ultraterrena. Puoi prenderlo a
calci nelle palle, la prossima volta che prova a picchiare te o un
altro dei vostri. Cadrà e non si rialzerà più
fino al giorno dopo, te lo garantisco!”
Trattengo il respiro.
Non so neanche il perché, capitemi bene.
Luce si limita ad annuire, più rivolta a se
stessa che a noi. Si allontana dall'auto. Non dice niente, ci fa
cenno di andare e basta.
“Grazie, e passa una buona serata anche tu!”, trilla
Carlo. Scrolla il capo e rimette in moto. La figura di Luce
rimpicciolisce rapidamente dietro di noi.
Io la guardo, una ragazzina alta e slanciata, ferma in
piedi nella polvere, con un fucile lungo il fianco.
“Ecco, lo sapevo!” Carlo picchia il pugno sul
volante e il clacson comincia a strombazzare. Ride. “E' pazza di
me, ragazze! Ora non riuscirò più a levarmela di torno,
ve lo dico io!”
xxx
I nostri amici ci raggiungono alla cascina nel giro di
un paio d'ore. Nel frattempo io Giulia abbiamo messo un po'
d'ordine, preparato i piatti, inserito nello stereo la la nostra
selezione di brani musicali pop d'ultimissima generazione (tutti
tassativamente piratati e scaricati illegalmente), mentre Mia e Carlo
si occupavano del barbecue.
Scorre molto alcol. E' sempre così, in queste
occasioni. Grazie a Dio, lo reggo abbastanza bene.
Mi siedo accanto al camino acceso perché fa molto
freddo, col mio cicchetto in una mano e una
sigaretta accesa nell'altra.
Adoro il puzzo del fumo. Mi rivolta lo stomaco e mi fa contrarre le dita dei piedi nelle scarpe, ed è proprio questo il motivo per cui ne vado tanto matta: perché mi fa sentire sporca e cattiva, ribelle e spregiudicata, quando in realtà sono una vergine sedicenne con le unghie laccate di rosso che dorme abbracciata al suo orsacchiotto la notte, e che non ha mai nemmeno baciato nessuno.
Adoro il puzzo del fumo. Mi rivolta lo stomaco e mi fa contrarre le dita dei piedi nelle scarpe, ed è proprio questo il motivo per cui ne vado tanto matta: perché mi fa sentire sporca e cattiva, ribelle e spregiudicata, quando in realtà sono una vergine sedicenne con le unghie laccate di rosso che dorme abbracciata al suo orsacchiotto la notte, e che non ha mai nemmeno baciato nessuno.
Di recente, Mia e Giulia hanno cominciato a stressarmi
parecchio, con questa storia del primo bacio.
Dicono che se non mi decido alla svelta, finirò
come una di quelle vecchie zitelle piene di gatti che si vedono
sempre nei film americani.
Giulia si offre di “prestarmi” il suo bel capellone.
Suona in un complessino gothic metal nato da meno di due mesi e la
mia amica ritiene che, per me, dovrebbe “andar bene”, perché
condividiamo la stessa passione per la letteratura dell'orrore e per la
musica underground: mi avverte solo di stare attenta, perché è
uno che tende a sbavare troppo e poi di sicuro vorrà
pomiciare, bisognerà trovare “un ambiente adatto”.
Io non dico niente. E' come se un doppio strato di
ovatta mi imbottisse le pareti del cervello.
Dev'essere l'effetto della birra – per forza – ma
nello stesso tempo so che non è soltanto questo.
Dall'altra parte della finestra, la luna è gonfia
e bianca e splendida.
Sembra innaturalmente grande, inspiegabilmente vicina.
Per contrasto, il buio della notte pare essersi
ammantato d'una oscurità ancora più densa e nera.
Mia sta ancora parlando, ma io non riesco a
concentrarmi. Sento le parole, ma non le ascolto; ogni sillaba mi
trafigge le orecchie, si riversa come uno scroscio di marea contro
le mie orecchie martellate dall'emicrania.
Scolo il resto del bicchiere e mi alzo per andare in
bagno.
Sopra il lavello c'è uno specchio. Scelgo di
rimanere al buio, perché il chiarore della luna che filtra
dall'alto è già abbastanza impietoso con il mio
riflesso. Mi spruzzo un po' d'acqua fredda sulle guance.
Dalla stanza accanto arrivano musica, passi concitati, grida e
l'appetitoso aroma della carne arrosto.
Dalla stanza di sopra, gemiti, piccoli tonfi, risatine e
bisbigli cospiratori.
Nella mia testa, un silenzio assoluto, perfetto, come se
stessi fluttuando nello spazio siderale.
Mi mordo le labbra, con forza, fino a quando non riesco
ad avvertire il gusto aspro e metallico del sangue.
Ho lo sguardo appannato e le pulsazioni basse. Un velo
di sudore mi imperla la fronte, appiccicandomi i capelli alla pelle
surriscaldata.
Ripenso a un paio di occhi azzurri e il mio respiro va
incontro a una brusca e repentina accelerazione.
Deglutisco e abbasso le palpebre.
Quando le riapro, scorgo una faccia poco familiare nello
specchio.
Mi osserva con i miei occhi rubati e sorride con la mia
bocca sporca di rossetto, ma è un volto che a stento sono in
grado di riconoscere.
Guardo quelle labbra sillabare una parola, senza
emettere un suono.
Liberati.
Come ipnotizzata, guardo la mia mano sollevarsi verso la
faccia prigioniera nello specchio.
Le unghie scavano nella carne e afferrano un lembo di
pelle sanguinolenta, poi cominciano a tirare.
La maschera che indosso viene via senza dolore,
rivelando la creatura che c'è sotto.
Accarezzo le mie squame, nere come l'inchiostro, e la
soffice peluria delle piume che vibrano sulle mascelle.
C'è del fuoco, adesso, nei miei occhi.
Una fiamma che mi brucia da dentro, che mi libera da
quella morsa di gelo che mi attanagliava le viscere.
Inclino il capo da un lato, affascinata.
Questa sono io?
Questa sono io per davvero?
E poi il vetro della finestra comincia a vibrare. Un
lungo, straziante ululato risuona nell'oscurità addensata al
di là e la mia allucinazione muore: sussulto e torno ad essere
semplicemente una ragazza sbronza in un bagno soffocante, con il
mascara sbavato a causa delle lacrime versate sopra le tante battute incomprensibili e una porzione abbondante di pelle in bella
mostra attraverso la generosa scollatura dell'abito.
“Ehi, Siria! Tutto bene?”, mi chiama Giulia.
“Sì!”
Apro la porta. La mia amica mi squadra da capo a piedi.
“Meno male. Stavamo tutti cominciano a pensare che
fossi cascata nella tazza. Carlo si stava già infilando nella
sua specialissima tuta di protezione anti-merda per venirti a
ripescare. Dio, hai un aspetto orrendo! Che hai?”
“Niente. Hai sentito...”
“Vuoi una mentina?”
“Eh?”
“Per il mio capellone. L'ho montato un po', gli ho
fatto le tue lodi e gli ho raccontato che secondo te lui è un
gran figo.”
“Ma non stava con te?”
Giulia si stringe nelle spalle. “Forse riesco a
combinare qualcosa con Carlo. E' il mio miglior trombamico, in fondo, sai? Ci
sa fare, il ragazzo!” Alza e abbassa velocemente le sopracciglia in
segno di intesa.
“Quindi stai cercando di scaricarmi il capellone in
modo tale che non ci rimanga troppo male, quando gli darai il
benservito, ho capito bene?”
“Oh Dio, Siria! Non metterla giù così
tragica, d'accordo? Non cominciare. Per te è un'occasione
d'oro, comunque. Voglio dire, è un bravo ragazzo e vi piace la
stessa roba. E poi lui è come te, e...”
“Che vuol dire, che è come me?” Mi tocca
urlare per farmi sentire al di sopra del baccano e della musica.
“Lo sai, tesoro. Non farla tanto lunga. Lui è
uno... un pezzo di pane, insomma. Non è mai stato con nessuna
ed è un cucciolone. E' perfetto per te.”
Un
cucciolone.
“Ho voglia di vomitare.”
“E dai, Siria...”
“No, dico sul serio!”
Me la scrollo di dosso con uno spintone e corro ad
accasciarmi sul water.
Sono ancora lì, quando sento le prime urla.
Mi raddrizzo, barcollando e pulendomi la faccia con un
pezzo di carta igienica.
Io e Giulia ci scambiamo uno sguardo.
Le note si sono interrotte per qualche momento, perché
fra la canzone che si è appena spenta e la successiva ci sono
almeno quindici secondi di silenzio registrati su cd.
Non appena la musica assordante comincia a riversarsi di
nuovo fuori dalle casse, Giulia ringhia a Carlo: “Spegni quel
coso!” Lui ubbidisce. Nella stanza saranno presenti almeno altre
sette persone, oltre a me e a Giulia, ma in quel momento ci
immobilizziamo tutti, bocca chiusa e orecchie tese, i sensi in allerta.
Il grido si ripete, lacerante e martoriante, e Carlo si
precipita alla finestra.
“Porca....E' Luce!”
A Mia casca la mascella. “Che cosa?”
“Le ha dato definitivamente di volta il cervello?
Perché strilla così?” Giulia raggiunge Carlo accanto
al vetro. Io non mi muovo. Non sono del tutto sicura che le mie gambe
ubbidirebbero al comando impartito dal cervello, se anche ci
provassi.
Luce è lì fuori che urla, piange e
singhiozza disperata.
L'idea di Luce d'Ambrosia in lacrime mi strappa il fiato
dai polmoni e mi fa venire voglia di precipitarmi di nuovo a vuotarmi
lo stomaco.
I suoi lamenti si avvicendano a quegli agghiaccianti,
furiosi ululati inframezzati da ringhi selvaggi.
Prima ancora che riesca a rendermene conto ci ritroviamo
tutti fuori, senza cappotti, con le dita avvinghiate intorno alla
ringhiera della veranda.
Luce riesce finalmente a raggiungere i gradini.
E' stravolta. Ha una gamba dei pantaloni strappata e la
maglia a pezzi. Un occhio gonfio, il labbro spaccato. Le lacrime le
rotolano lungo le guance come se una diga fosse brutalmente
collassata da qualche parte nella sua testa.
“Vi prego!”, la sentiamo implorare, con una
voce spezzata che mi da' i brividi. I suoi indimenticabili occhi
azzurri traboccano d'orrore e sconcerto. “Andatevene da qui! Lui vi
troverà!”
Per un attimo, nessuno si muove.
Nessuno sa come comportarsi.
Poi Giulia marcia giù dai gradini e avvolge Luce
in un abbraccio.
“Shhh! Tranquilla, tranquilla... andrà tutto
bene”, sussurra con il volto distorto in una smorfia di pietà.
“Lui non può più farti del male.”
Scambia uno sguardo con Carlo, che serra nervosamente la
mascella e si guarda intorno come se si aspettasse di veder sbucare
fuori il padre infuriato di Luce da un momento all'altro. Ma poi il
nostro amico annuisce, sforzandosi persino di sorridere. Alza i
pollici.
“Certo, sei al sicuro. Se tuo padre proverà
anche soltanto a far vedere da queste parti il suo brutto muso da....”
Luce, che fino a quel momento ha accettato le carezze e
il conforto offerto da Giulia senza protestare, si scosta
bruscamente. Agita la canna del fucile in direzione di Carlo. Se la
trascina ancora appresso, quest'arma senza valore, che non le ha
offerto alcuna protezione contro quanto le è accaduto
stanotte, né nel corso delle notti precedenti... come se ormai
fosse un'ineliminabile appendice dei suoi stessi arti.
Carlo indietreggia suo malgrado.
“Non si tratta di mio padre... Non capite? Non posso
tenerlo a bada per sempre!” Si strappa dall'abbraccio di Giulia e
striscia sui gradini. Alza il viso, quel suo viso incantevole e
aperto, bagnato dai raggi della luna. La mite, imperturbabile e
incrollabile Luce d'Ambrosia, che stanotte sembra una bambina di
cinque anni, spaurita e sola e dolorosamente innocente, e persa nei
meandri di un incubo senza fine, terrorizzata al pensiero del baubau
che potrebbe afferrarla per la caviglia da un momento all'altro,
protendendo i suoi tentacoli d'oblio dal fondo del letto.
Mi cerca con lo sguardo, Luce.
Lo vedo chiaramente, non posso sbagliarmi.
Solleva verso di me una mano sporca di sangue.
“Tu sai!”, dice. “Tu Lo conosci!”
E in quel momento, giuro su Dio... se riesco a evitare
di farmela addosso, è soltanto perché lassù
qualcuno mi ama.
“Andate via... per favore.”
Luce lascia scivolare il fucile sulle assi e, senza
alcuna soluzione di continuità, si lancia a testa bassa contro
di me.
Mi coglie alla sprovvista, non provo neanche a
scansarmi. E così mi ritrovo questi sessanta chili di corpo
febbricitante premuti contro il petto, che mi schiacciano contro la
parete mentre lei mi bisbiglia nell'orecchio il suo segreto: “Non c'è modo
di tenerlo a freno per sempre.”
Ha il fiato rovente e la pelle così calda che,
per un istante, temo posso appiccarmi un incendio addosso anche
attraverso i vestiti.
Restiamo così per un interminabile istante, poi
Carlo si fa avanti; prova a scrollarmi Luce di dosso con delicatezza,
ma lei oppone resistenza, lo allontana con una spallata, si divincola
e digrigna i denti. E' spaventosamente forte.
Lui ritrae la mano. Si massaggia le dita ustionate,
strabuzzando gli occhi.
Luce picchia il fianco contro la parete, sferra un pugno
contro il muro capace di far tremare la casetta di legno fin nelle
fondamenta.
“Sta arrivando... sta arrivando!”
Una coppia di tizzoni gemelli si innesca in fondo a
quelle iridi del colore del cielo.
L'illuminazione non è buona, ma la forma
allungata delle zanne che sgorgano dalle sue labbra è
inequivocabile; così come non faccio fatica a sentire, nel
silenzio innaturalmente teso della notte, il ringhio selvaggio che le
ribolle nel petto.
Luce scuote la testa.
“Sta arrivando”, ripete.
Ma adesso non piange più; le sue mani sono ferme. Picchia di nuovo il palmo contro la parete.
Ma adesso non piange più; le sue mani sono ferme. Picchia di nuovo il palmo contro la parete.
“Sta arrivando.”
Bam.
“Arriva.”
Bam! Bam! Bam!
Incurva le spalle. Ripiega gli artigli. Solleva il volto
e ruggisce alla luna.
Un'irta peluria bionda le ricopre il volto dai
lineamenti deformati. I suoi denti aguzzi si protendono in un ghigno
ebbro di ferocia primordiale.
“Eccomi!”
xxx
Quello che accade dopo, lo ricorderò più
avanti soltanto in un modo molto confuso.
Misericordia divina, immagino.
O forse soltanto un trucco escogitato dalla mia mente,
un sistema come un altro per cercare di sopravvivere all'orrore senza
rischiare di perdermici dentro per l'eternità.
Luce – no, la cosa che da dentro di lei era
emersa per spogliarsi di quell'involucro effimero che si chiamava
Luce – si avventa sul capellone.
E' buffo, buffo in un modo che mi fa venire voglia di
piangere, ma non riesco neanche a ricordare il suo nome... l'abbiamo
sempre chiamato così fra di noi, il “capellone”.
Gli spezza il collo e lo getta da parte come se valesse
meno di niente, poi passa alla vittima successiva.
Mia urla con quanto fiato ha in gola mentre la bestia le
affonda il muso nella spalla e comincia a strappare e masticare.
Alti schizzi del suo sangue caldo mi gocciolano sul
viso, ma non riesco a muovermi: non posso fare altro che guardare
questa creatura, questa maestosa, ancestrale, famelica figlia dei
boschi e delle montagne abbattere Carlo attraverso un'unica, possente
zampata, facendogli volare via il fucile dalle mani. Dalla canna
parte un colpo che mi centra di striscio. Avverto una scudisciata di
dolore nel braccio, un rivo di sangue che scende a inzupparmi la
pelle, ma non mi lascio scappare neanche un lamento.
Il goffo tentativo di Carlo di sparare alla creatura mi
salva la vita. Lui non lo saprà mai: se ne è già
andato, gorgogliando sangue misto a schiuma bianca. Il mostro nel
frattempo raggiunge Giulia, la atterra, le salta sulla schiena.
Questa salutare scudisciata di sofferenza fisica mi
riporta alla realtà, al puzzo delle frattaglie, allo schiocco
delle ossa spezzate, alla carneficina.
Abbranco il fucile e mi scosto dal volto una ciocca che
il vento si ostina a farmi ricadere sulla bocca.
“D'Ambrosia!”, urlo. “Luce!”
Il mostro non si volta nemmeno.
E perché mai dovrebbe?
Non c'è Luce in Lui, anche se Lui è in Luce in ogni istante del giorno e della notte, che ci sia la luna piena oppure no.
E perché mai dovrebbe?
Non c'è Luce in Lui, anche se Lui è in Luce in ogni istante del giorno e della notte, che ci sia la luna piena oppure no.
Continua a consumare il suo pasto.
Le lacrime mi appannano la vista, mentre prendo la mira
e sparo. Mi tremano le mani.
Forse è per questo che sbaglio, anche se mi trovo
così vicina al mio obiettivo.
La pallottola gli si conficca al centro della schiena
anziché in fondo; uggiolando, la bestia si inarca, sussulta e
crolla.
Poso un ginocchio per terra e la rivolto su un fianco.
Non credo che possa muoversi. Ha gli occhi aperti e
respira, l'immenso petto che si solleva e e si abbassa come un
mantice, ma soffre molto.
Alzo di nuovo la canna e faccio per piantargli una
pallottola nell'occhio, quando il bastardo ricorre al trucchetto che
una parte di me aveva paventato fin dall'inizio.
Il fuoco dentro quelle iridi muore, lasciando
intravedere il cielo sgombro di un limpido pomeriggio d'estate.
xxx
Non posso ucciderla.
Fra qualche anno, quando ripenserò a questo
momento, ne comprenderò la ragione.
Ma adesso no. So solo che non riesco a premere quel
grilletto pur desiderandolo intensamente, anche se so che è la
cosa più giusta da fare, forse l'unica cosa giusta in una
situazione completamente sbagliata.
Barcollo in casa, mi procuro una coperta, gliela butto
sulle spalle. Mi raggomitolo al suo fianco, affondo la testa nella
sua pelliccia, la pelliccia bionda di questa cosa che è
l'unica cosa viva e calda e autentica nel raggio di
chilometri; la bagno con le mie lacrime, inalo il suo odore di febbre
e perdizione e sangue appena versato.
Una parte di me spera che muoia prima di svegliarsi.
Un'altra parte, più profonda, comincia già a sospettare
che, se accadesse, non mi resterebbe altro da fare al mondo se non
seguirla ovunque sia fuggita.
Ma Luce non scappa. Poco prima del sorgere del sole,
riassume il suo volto umano.
Il chiarore del giorno gioca con le sue lunghissime
ciglia.
Apre gli occhi, guarda le nostre mani intrecciate,
sporche di sangue. Ricomincia a piangere.
Annuisco, mi poso la sua testa sul seno, percorro
l'elaborata mappa di cicatrici sul suo avambraccio con la punta dei
polpastrelli. Mi aggrappo a lei e lei si aggrappa a me, e non perché
non ci sia altro da fare: soltanto perché di colpo è
quello che scelgo.
“Uccidimi.”
“No.”
“Sono un mostro!”
“Sì. No. E io non sono migliore di te, in ogni
caso.”
Questo la fa singhiozzare ancora più forte,
perché ha capito cosa vuol dire.
“Mi dispiace, mi dispiace...”
Le accarezzo i capelli, senza dire niente.
Il suo sangue, che si è mescolato al mio
attraverso le nostre reciproche ferite, mi brucia nelle vene e mi
gonfia le arterie.
Il
suo sangue, nel mio corpo.
Un uomo si avvicina in bicicletta. Si ferma, smonta,
sale verso di noi. Ha le spalle curve e gli occhi spiritati, una
serie di lividi vistosi che gli decorano il mento e le guance
barbute.
Mi allontano da Luce, la lascio alle cure di suo padre.
Lui la abbraccia forte, le dice che andrà tutto
bene, ma ha una scena rossa di massacro impressa nelle retine, e non
riesce in alcun modo a nasconderlo.
Luce ha di nuovo perso i sensi.
“Starà bene?”
Lui annuisce. “Loro... guariscono in fretta.”
E' quello che sospettavo.
L'uomo tira su con il naso. Mi guarda, burbero e
smarrito.
“Ho provato a tenerla lontana da... tutto quanto. Mio
fratello, lui... era come lei. L'alcol, le risate, la musica... tutte
queste cose agitano la bestia, la chiamano fuori.” Scuote il capo,
sconsolato. “Lei non riesce a sentire le cose come le sentono gli
altri, sai? Non può. Per lei è sempre tutto più
vivido, più intenso, più forte. I suoni, i colori, gli
odori...” Si succhia una gengiva e scrolla il capo, impotente.
“Lo so", dico.
Fa una pausa, poi accenna al mio braccio con uno scatto
del capo.
“Diventerai come lei.”
Rimango in silenzio. Che cosa potrei dire?
Che so anche questo? Che Giulia si sbagliava?
Sotto tantissimi punti di vista, io sono sempre
stata come lei.
“Dovrete sparire.”
“Sì”. Faccio un respiro profondo, mi sfrego la
fronte. “Le dica che verrò a prenderla al calare del buio.
Okay?”
Annuisce. Esita, poi aggiunge: “Ha sempre saputo che
saresti stata tu, sai? A... a prendere il mio posto. Ha sognato di te. Ho vegliato su di lei
dal giorno in cui è nata, sapendo che era diversa, che aveva
bisogno d'essere protetta, proprio come il resto del mondo, dalla
cosa dentro di lei. Ho badato alla mia Luce per sedici anni e ho
combattuto il suo demone, vincendo qualche volta e perdendo più
spesso, ma sempre lottando, sempre lottando per lei. Ora ho finito.
Ho finito.”
Lo ripete come se ancora non riuscisse a crederci fino
in fondo, la voce spezzata, i pugni dischiusi lungo i fianchi.
Li guardo sparire in lontananza, con il vento che mi
sferza il vestito intorno alle gambe.
Domani, domani i miei amici mi mancheranno.
Cerco di non pensare a noi quattro da ragazzini, a
quella nostra estate sul lago, quando Carlo mise una rana nella
scrivania della tipa che ci sorvegliava e Giulia uscì fuori
dai gangheri. Cerco di non pensare alla fossetta sorniona che
compariva sul volto di lui ogni volta che ne combinava una delle sue,
o al sorriso sdentato di Mia, a tutte le volte che le ragazze si sono
presentate a casa mia con una vaschetta di gelato in una sporta e un
dvd in un'altra, alle chiacchiere, ai risolini, ai cuscini lanciati
da un capo all'altro della mia stanza.
E' tutto troppo, troppo fottutamente patetico.
E io non posso essere patetica, non adesso.
Vorrei solo sentire il dolore, e in effetti lo sento.
Una pulsazione costante e sorda in fondo alle viscere,
che batte sepolta in profondità come un cuore segreto.
Se mi protendo per ascoltarlo, ho la sensazione di
riuscire quasi a raggiungerlo, a toccarlo... quasi.
Qualcosa mi dice che, da oggi in poi, mi sentirò
così per sempre.
Ma sento anche qualcos'altro. Mi guardo le dita, sporche
di quel sangue troppo rosso, quasi nero alla luce rivelatrice del
giorno.
Provo sollievo. Perché alla prossima luna piena,
tutto questo porterà finalmente la cosa dentro di me in
superficie. La sguinzaglierà nel mondo.
Correrò nuda nei boschi.
Ululerò alla luna.
Avvertirò il tocco della terra e del vento sulla
pelle.
Sarò libera.
E
avrò fame.
FINE
Sophie *_* ma è magnifico :3 e il finale così originale e piebno di senso di liberta??? È magnifico! Un grosso grosso applauso a te :P
RispondiEliminaOh, Francy, grazie infinite!!! ^____^ Sono così contenta che ti sia piaciuto... avrò un enorme sorrisone felice stampato in faccia per il resto della giornata, e sarà tutto merito vostro! Grazie ancora, di cuore!!! :D
EliminaIntrigante ,misterioso ed estremamente interessante..
RispondiEliminaSei costantemente portata ad andare avanti e...io devo rileggerlo ancora con più calma!
Grazie Sophie..bacio!
Grazie mille a te, Nella, sei davvero gentilissima... Non sai la gioia che mi ha dato leggere queste parole! ^______^
EliminaE' splendido!!!!! *___________* Complimenti davvero!!!! :)
RispondiEliminaSiannalyn, grazie infinite!!! Sono felicissima che ti sia piaciuto... Per me è un onore e una gioia immensa! ^______^
EliminaComplimenti Sophie *_* Storia davvero originale, mi è piaciuta molto :D
RispondiEliminaGrazie mille, Aenor, sei davvero gentilissima! Sono così felice che ti sia piaciuto!!! ^_____^
EliminaComplimenti, è davvero bellissimo *-*
RispondiEliminaAnche se c'è il lato negativo dei racconti: ti lasciano con la voglia di averne ancora...
Grazie per averlo condiviso :)
Grazie mille a te per aver letto, Kate, dal profondo del cuore! ^______^ Leggere queste tue parole rappresenta per me una gioia e un incoraggiamento immenso, sono davvero felicissima! :D
EliminaSemplicemente geniale! *-*
RispondiEliminaGrazie millleeeeeeee!!!! <3 ^____________^
EliminaOddiooooo, ma è meravigliosooo *__* ne vogliooo ancoraaaa!!
RispondiEliminaComplimenti!!
Grazie infinite, Mary: non sai quanto piacere mi ha fatto leggere il tuo commento... Sono ufficialmente al settimo cielo!! *____* Grazie ancora! :D
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