DC Icons, Vol. 3
Disponibile in inglese
"Due anni dopo essere sfuggita ai bassifondi di Gotham City, Selina Kyle torna in città nei misteriosi panni della ricca Holly Vanderhees. Qui, apprende rapidamente che Batman è stato costretto ad allontanarsi per portare a termine una missione dall'importanza vitale, e che Batwing è stato lasciato a prendersi cura della città al suo posto.
Il che, dal punto di vista di Selena, significa che Gotham è pronta a essere conquistata.
Nel frattempo, Luke Fox vuole dimostrare di avere ciò che occorre per aiutare la gente nel suo ruolo di Batwing. Prende quindi di mira una nuova ladra, appena emersa sulla scena, che sembra più scaltra e accorta di tanti altri. A quanto pare, la donna ha fatto squadra con Poison Ivy e Harley Quinn e, insieme, le tre giovani stanno seminando nei quartieri una vera e propria ondata di panico..."
Ho letto “Catwoman: Soulstealer” un paio di mesi fa. Non ne conservo un ricordo particolarmente incisivo, per cui non ero sicura al 100% di voler scrivere questa recensione… Sennonché, alla fine dei giochi, mi ritengo una persona abbastanza puntigliosa (anche se in molti non lo indovinerebbero mai…), per cui proprio non riuscivo a sopportare l’idea di non arrischiarmi a spendere qualche parola a proposito di questo terzo volume della serie “DC Icons”… soprattutto dopo avervi diffusamente parlato di “Wonder Woman: Warbringer” (che ho adorato) e di “Batman: Nightwalker” (che mi ha tediato alquanto).
Ad ogni modo… “Soulstealer” è il primo romanzo di Sarah J. Maas che sia riuscito a capitarmi fra le mani. Devo confessare che ero piuttosto curiosa di scoprire cosa questa popolarissima autrice americana sarebbe riuscita a tirare fuori dal cilindro in un’occasione del genere. Mi sono pertanto convinta che questo avventuroso young adult dedicato a una delle più celebri anti-eroine di casa DC avrebbe potuto offrirmi un’ottima occasione per cominciare a valutare le abilità stilistiche della Maas, e – soprattutto – per iniziare a capire se fra il suo modo di scrivere (e di pensare) e il mio modo di leggere (e di concepire la narrativa) potrebbe effettivamente sussistere un certo grado di sintonia.
E… bé, che cosa posso dire?
Se è vero che il buongiorno si vede dal mattino, forse
farei meglio ad accantonare subito qualsiasi remota idea di approcciarmi, un
giorno, alla famosa serie fantasy inaugurata da “Il Trono di Ghiaccio”.
Perché per me “Soulstealer”
si è rivelata – spero che non me ne vogliano le numerose fan della Maas eventualmente
in ascolto– una cocente delusione, peraltro praticamente su tutta la linea.
Il prologo, di per sé, ha rappresentato per me una
sorta di shock: scritto in una maniera talmente sciatta e indolente da farmi
scorrere un autentico brivido di apprensione lungo la schiena, e condito dal
maggior numero di cliché possibili nell’arco di venti pagine o giù di lì. Per
fortuna, a lungo andare la qualità della prosa ha preso a migliorare (anche se in
maniera assai discontinua e irregolare, per cui effettivamente alcuni capitoli
reggono molto meglio di altri), e l’intreccio ad acquisire una parvenza di
senso.
Pressappoco.
Più o meno.
Per così dire.
Il problema principale (ma non l’unico, e sicuramente
nemmeno il più vistoso) di “Soulstealer”,
a mio avviso, è che la trama fa
semplicemente acqua da tutte le parti. Ammesso che di trama si possa parlare,
quando, in realtà, i due terzi del romanzo potrebbero descritti nel modo che
segue: “Selena decide di derubare una
banca a caso. Le sue amiche Poison Ivy e Harley Queen le danno una mano. Il
prode Batwing le insegue… facendo la figura dello scemo una volta dietro l’altra”.
I personaggi descritti dalla Maas, per giunta, non
hanno un granché a che fare con quelli “originali” dei fumetti che tutti
conosciamo – non che questa sia una grande novità, considerando quanto già
avveniva nel caso del quasi-altrettanto-penoso “Nightwalker” di Marie Lu.
Ma credo che la Selena
Kyle di “Soulstealer” riesca a rappresentare
un caso particolarmente eclatante, in questo senso. Tanto per cominciare, ogni
parvenza di moralità ambigua relativa alle sue azioni viene giustificata (e,
per logica conseguenza, annullata) dal fatto che dietro tutti i suoi crimini si
nasconde, in realtà, una motivazione talmente nobile e altruista da renderla
praticamente una santa benefattrice patrona di Gotham City. E poi, alla nostra
impavida adepta della Setta degli
Assassini (qualcuno mi passi subito Sarah Lance al telefono, per favore…),
non capita veramente mai – e dico MAI – di sbagliare una mossa, di fare il
passo più lungo della gamba, di perdere una schermaglia verbale. Selena non ha
mai torto. Non prende mai un granchio, e quando combatte non si accontenta di
vincere: a prescindere dalle circostanze avverse (anche quando la ragione
suggerirebbe che sarebbe infinitamente più verosimile il contrario), Selena
riesce infatti a surclassare le
abilità e i poteri di qualsiasi nemico le si pari davanti. Non abbandona mai
una conversazione senza prima essersi assicurata di aver avuto l’ultima parola;
elabora arzigogolati piani degni di Megamind, solo che i suoi riescono sempre a
prevalere, senza mostrare il minimo accenno di sbavatura.
L’unico che riesce a dimostrarsi ancora più irritante
e becero di lei, in definitiva, è Luke Fox, alias Nightwing (un personaggio di cui, per amor di onestà, confesserò
adesso di non aver mai neanche sospettato l’esistenza, prima della lettura di
questo libro). Il Nightwing di Sarah J. Maas è per lo più una versione in
copia-carbone del James Olsen che
tutti conosciamo (e che nessuno ama) dalla serie “Supergirl”. Il livello di alchimia fra lui e Selena riesce quasi –
dico, quasi – a farci rimpiangere quello che lega Guardian a Lena Luther nel
medesimo show televisivo. Il che vuol dire che praticamente non esiste, e che
la Maas si è presa la briga di inserire una componente “romance” nel suo libro soltanto per motivi di adempienza contrattuale.
Il personaggio di Poison
Ivy mi è piaciuto un po’ di più – soprattutto perché mi ha fatto una grande,
grandissima tenerezza. Ehm… Il che, considerando di chi stiamo parlando,
potrebbe anche non rappresentare un fattore poi tanto positivo.
Il “restyling” forzato di Harley Quinn in chiave YA, viceversa, mi è parso una roba da occhi
sbarrati e mani nei capelli: dal rango di icona pop dei giorni nostri, la
vediamo qui confinata nel discutibile (e strettissimo) ruolo di “stizzosa bruta armata di mazza da baseball
con la passione per il trucco pesante/interesse romantico un po’ indeciso della
migliore amica della protagonista”.
E, tanto per concludere, penso che sarebbe bello – ma veramente
una gioia, per la mente e per il cuore – se, per una volta, un’autrice
intenzionata a scrivere un libro basato, al 70%, su scene di combattimento, scontri e inseguimenti a rotta di collo su per i tetti dei palazzi, si
sforzasse di imparare a scrivere una
sequenza d’azione degna di questo nome. Così, tanto per cambiare.
So per certo che Leigh Bardugo ci è riuscita (fra gli imprecisati e nebulosi “scivoloni” di “Ghiaccio
e Tenebra” agli adrenalici e frizzanti exploit
di “Warbringer” passa veramente un abisso, ragazzi…), per cui, forse,
non è che stavolta io stia proprio chiedendo l’impossibile, giusto?
In
estrema sintesi: Scialbo, ripetitivo e poco ispirato, “Soulstealer”
rappresenta un biglietto di sola andato per il più lunatico e impersonale
giostrone a tema DC che vi riesca di immaginare. Leggetelo per completare la serie dedicata
alle “DC Icons”, o sfruttatelo per re-immergervi nelle adolescenziali (e
pasticciate) atmosfere stile “Arrowverse” durante una pausa dei vostri
supereroi preferiti dagli schermi della tv…