giovedì 8 settembre 2016

Recensione: “Frequencies” (film)

poster frequencies
   Frequencies
(OXV: The Manual)

Trama:
“In un mondo non definito nel tempo e nello spazio Zak e Marie si incontrano da bambini (i bambini della scuola che frequentano hanno tutti nomi di scienziati famosi, lui si chiama in realtà Isaac Newton e lei Marie Curie). Zak si innamora subito di Marie ma lei non ricambia, almeno apparentemente, perché una differenza basilare glielo impedisce. Lei corrisponde a una 'frequenza' altissima, lui bassissima: sono perciò incompatibili e se si incrociano per più di un minuto scatenano eventi violenti e assurdi.”
 


Avete presente quando qualcuno, cercando di descrivere un amico che non avete ancora conosciuto, a un certo punto salta su con un discorso del tipo: “Be’, in effetti non è un bell'uomo, non nel senso classico del termine. Anzi. Però ha quel certo non so che... Non so perché, ma tutte le donne finiscono con il trovarlo un tipo affascinante'.
Ecco: nel caso di “Frequencies - OXV: The Manual”, un film di genere romantico/sci fi diretto dal regista Darren Paul Fisher, si potrebbe applicare lo stesso tipo di ragionamento.
L'equilibrio fra le parti non è perfetto; nel corso della visione, i difetti si accumulano come le cicatrici sulle braccia tatuate di un operaio irlandese avvezzo alle risse notturne da bar più sfrenate. Eppure, nel complesso, ho trovato “Frequencies” un progetto lodevole, e adesso cercherò di spiegarvi il perché.

Il soggetto, di per se’, è veramente avvincente.
In una realtà parallela in cui è possibile misurare le “frequenze” emesse dalle persone (e tramite questo valore, determinare il livello di armonia che un individuo può ragionevolmente sperare di raggiungere con l’ambiente circostante), la società è divisa in due fazioni: da una parte abbiamo gli uomini e le donne in grado di emettere frequenze “alte”, predestinati ad avere successo in ogni impresa e a raggiungere alti traguardi, mentre dall’altra troviamo gli “sfortunati”, ossia quelle (non poi così tanto) rare persone condannate dalla sorte a trovarsi sempre al posto sbagliato, nel momento più sbagliato che si possa immaginare.

All’interno di un fantomatico Istituto riservato all’educazione dei prodigi e delle personalità geniali ritenute promettenti, si incontrano per la prima volta i giovani protagonisti del film, la sociopatica e algida Marie Curie (Eleanor Wyld) e l’intraprendente ma goffo Isaac Newton (Daniel Fraser).
I due daranno inizio a una frequentazione bislacca e travagliata che proseguirà per diversi anni, e per la precisione fino al momento in cui la loro amicizia verrà messa a dura prova dal fatto che Marie è in grado di emettere delle frequenze altissime, talmente spropositate da rendere la ragazza inumana in più di un senso, mentre Zak è penalizzato da frequenze al limite del percettibile, che rendono fin troppo facile, per gli altri, appiccicargli addosso l’etichetta del perdente senza speranza. Eventi tragici e violenti sembrano destinati a verificarsi ogni volta che i due provano a incontrarsi; lo “scontro” fra frequenze così opposte e diverse non può che avere esiti imprevedibili.

Fin qui la trama sembra quasi una rivisitazione di “Upside Down”, seppur presentata in un salsa dal sapore molto più deciso e “scuro”; e invece la sceneggiatura di Fisher riesce a riservare a noi spettatori più di una sorpresa, introducendo diversi colpi di scena e arrivando perfino, a un certo punto, a tentare una timida virata verso il regno del Fantasy e del sovrannaturale.
Purtroppo la vena logorroica dei personaggi, e il fatto che la maggior parte di queste svolte venga “raccontata” tramite dialoghi un po’ confusi e pasticciati, anziché mostrata attraverso le immagini, smorza l’effetto dirompente di queste ottime trovate narrative, rendendole meno efficaci in più di un senso.

Fisher, a mio avviso non del tutto a proprio agio nei panni del direttore artistico, affida il successo della sua pellicola al talento dei due interpreti principali, di cui riprende ossessivamente il volto, ma non si rende conto di quanto la scelta di ridurre all’osso gli elementi scenografici possa risultare controproducente; il senso di vaghezza che aleggia intorno agli ambienti bianchi e sterili contribuisce, più che a rendere l’esperienza universale, più che altro a trasmettere un senso di freddezza che rischia di alienare seriamente il senso d’empatia di molti spettatori.
Ne’ aiutano, in questo senso, le interpretazioni esasperate, esagerate e al limite del ridicolo di molti comprimari; citerò a titolo d’esempio illustrativo solo quella di Emma Powell, l’attrice che veste i panni dell’irritante ma comprensiva signorina Anderson.
Ho approvato, invece, la scelta di modificare i toni della fotografia a seconda del “punto di vista” prescelto: colori caldi, spontanei e “naturali” per Zack, sfumature cupe, stinte e filtrate da un velo di triste fumo grigio-verdastro per Marie, il riflesso dei rispettivi paesaggi interiori coltivati dalla coppia di protagonisti.
Anche l’idea di attribuire il nome di uno scienziato illustre a ciascun personaggio mi è sembrata ottima, oltre che quanto mai appropriata: “Frequencies”, in fondo, è un film che si propone di indagare, sopra ogni altra cosa, il rapporto fra scienza e destino, predeterminazione e libero arbitrio, concentrando l’attenzione sul ruolo giocato dall’amore, un sentimento così umano e all’apparenza così “piccolo”, impotente al cospetto di tutte queste altre forze così immani e così “spaventose”.

Verso la fine, insomma, “Frequencies” ha smesso di ricordarmi il patinato e un po’ inconsistente “Upside Down”, e ha cominciato a farmi pensare piuttosto allo struggente e meraviglioso “I, Origins”. Non che io possa azzardare un paragone, a livello qualitativo; ma certo è che non rimpiango nessuno dei tre euro spesi per il noleggio, e forse un giorno potrei arrivare addirittura a fare un pensierino sull’edizione in dvd (in italiano, il film sarà disponibile a partire dal 22 settembre).

Non si tratta di una visione che consiglierei imprescindibilmente a chiunque, badate bene.
Se siete soliti guardare soprattutto blockbuster o, al polo opposto, film d’autore sperimentali d’alto profilo, probabilmente “Frequencies” non riuscirà a fare breccia nella vostra immaginazione, se non in negativo.
Ma sono convinta che il film di Fisher possieda il potenziale necessario ad affascinare una larga fetta di pubblico, in modo particolare gli amanti dei film di genere che non disdegnano tonalità e tematiche meno convenzionali.
Come dicevo, non si tratta di un’opera impeccabile, e non è il David di Michelangelo della settima arte.
Eppure è riuscito ad accelerare il battito nel mio petto in più di un’occasione, e a lasciarmi in preda a un vago e contemplativo umore filosofico che si è protratto per diverse ore dopo la visione.

Verdetto finale: 7.0/10





4 commenti:

  1. L'ho messo da parte da un po'.
    Questa fantascienza "umanista" la adoro. :)

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    1. Anch'io! Vorrei che il mondo del cinema avesse il "coraggio" di girare più film di questo genere! :)

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  2. Attendo il 22 settembre allora :) :) Mi ispira eccome!!

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    1. Spero che ti piacerà... io l'ho trovato davvero moooolto interessante! ;)

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