Titolo: The Open House
Regia: Matt Angel e Suzanne Coote
Cast: Dylan Minette, Piercey Dalton, Sharif Atkins e Patricia Bethune
Anno: 2018
Girl Power:
La Trama
Ecco qua, ci risiamo: dopo aver messo a segno una tripletta vincente di film horror
deliziosamente imperdibili (“Il Gioco di Gerald”, “1922”, “La Babysitter”), Netflix ha sentito l’esigenza di tornare a sfornare l’ennesimo,
insulso mattoncino in salsa thriller
della stagione.
“The Open House”
è la pellicola d’esordio dei registi Matt
Angel e Suzanne Coote. Del cast
fanno parte Piercey Dalton, Dylan Minnette, Sharif Atkins e Patricia
Bethune. Non ho alcuna desiderio di indorare particolarmente la pillola:
credo si tratti di un esemplare cinematografico di rara e indescrivibile
mediocrità, confusionario e noioso oltre ogni capacità di descrizione.
Una serie di scelte registiche imbarazzanti e una sceneggiatura
delirante contribuiscono senz’altro a rendere “The Open House” uno dei titoli peggiori della stagione. Ma ciò che
davvero ho faticato a digerire, a dirla tutta, è stata l’irrazionale
convinzione (basata Dio solo sa su cosa…) di poter affidare un ruolo da protagonista assoluto a un attore così
giovane, immaturo e inesperto come Dylan Minnette (diventato pseudo-famoso
grazie al successo planetario riscosso dalla serie tv “Tredici”…), un ragazzino che ha sicuramente del talento, ma ancora
tanta, tantissima strada da compiere, prima di potersi affermare come un
artista degno di tale nome.
In realtà, non sono neppure del tutto sicura di essere
riuscita a identificare le emozioni e le reazioni che i registi/sceneggiatori del
film si proponevano di suscitare con la loro opera. Quale dovrebbe essere, in
teoria, l’obiettivo di un delirio sconclusionato
e sgraziato come questo inutilissimo “The
Open House”? Angel e Coote avevano forse intenzione di angosciare il
pubblico a forza di dialoghi macchinosi
e ossessivi flashback martellanti?
Di riempirci il cuore di sgomento e terrore, a furia di propinarci l’agghiacciante
sequenza di Minnette che si leva le lenti a contatto pizzicandole ancora più
maldestramente di quanto sia mai stata in grado di fare io?
Se almeno la sceneggiatura fosse riuscita a giocare un po’ meglio
con la (scarsa) psicologia dei suoi personaggi, o la regia a selezionare un
tema portante, o anche solo a decidersi ad adottare uno stile qualsiasi, magari adesso potrei spendere due parole positive
a proposito di “The Open House”. E
invece no: posso soltanto ribadire la mia delusione, e incoraggiare qualsiasi
anima buona sia riuscita a seguire il film fino ai titoli di coda a farsi
avanti e a spiegarmi, per piacere, cosa diamine
mi dovrebbe voler significare un finale
sconclusionato e insoddisfacente come quello…. :(
Giudizio personale:
3.5/10
Evito, evito!
RispondiEliminaMi sembra un ottimo modo per risparmiare tempo prezioso, Mik! ;D
EliminaSperavo che Dylan Minnette dopo Tredici scegliesse qualcosa di più interessante. La colpa della scarsa riuscita di questo film comunque non è sua, quanto di scelte registiche e di sceneggiatura deliranti, come giustamente hai sottolineato. :)
RispondiEliminaSarebbe anche stata una pellicola comica di buon livello, peccato abbiano voluto fare un thrillerino-horrorino troppo serioso e inverosimile.
Il finale credo possa essere spiegato nella frase che la vicina psicopatica a un certo punto rivolge ai protagonisti: "Una volta che la morte entra nella tua vita, ti perseguita", o qualcosa del genere. Ma resta una s**onzata senza senso comunque. XD
Sono pienamente d'accordo con te, Marco: un pizzico di ironia o umorismo non avrebbero sicuramente guastato, anzi... magari sarebbero bastati ad alleggerire l'atmosfera e a renderci la visione meno tediosa.
EliminaHai ragione, a proposito del finale: probabilmente la chiave di lettura giusta va cercata proprio nei dialoghi con la vicina (ho continuato a interrogarmi sul significato del suo personaggio per ore, fra l'altro, senza riuscire a cavarne un ragno del buco! XD). Grazie! ^____^
E se fosse tutto frutto di una allucinazione di Logan in preda ad un disturbo schizofrenico post traumatico dopo il lutto? Una specie di Ed Norton in Fight Club in cui idealizza un possibile serial killer per giustificare le orribili efferatezze causate dalla sua personalità disturbata. D'altra parte l'unico omicidio che si vede è quello in cui accoltella sua madre... che si era nascvosta nella cantina x sfuggire dal figlio impazzito. Il vicino nero con tutta probabilità lo ha sgozzato lui. Dove si è visto un serial killer che toglie le lenti a contatto alla vittima? È una chiara metafora della doppia personalità.
EliminaComunque resta sempre un film demmerda....
Uno schifo
RispondiEliminaEh, sì... Non posso proprio contraddirti!
EliminaNon mi ispira particolarmente, ma visto che ne parlate tutti così male, potrei farci un pensierino XD
RispondiEliminaAhahaha capisco perfettamente l'impulso, Giusy! Altroché, se lo capisco! ;D
EliminaE se fosse tutto frutto di una allucinazione di Logan in preda ad un disturbo schizofrenico post traumatico dopo il lutto? Una specie di Ed Norton in Fight Club in cui idealizza un possibile serial killer per giustificare le orribili efferatezze causate dalla sua personalità disturbata. D'altra parte l'unico omicidio che si vede è quello in cui accoltella sua madre... che si era nascvosta nella cantina x sfuggire dal figlio impazzito. Il vicino nero con tutta probabilità lo ha sgozzato lui. Dove si è visto un serial killer che toglie le lenti a contatto alla vittima? È una chiara metafora della doppia personalità.
RispondiEliminaComunque resta sempre un film demmerda....