domenica 21 gennaio 2018

Recensione: "The Open House" (film Netflix 2018)


Titolo: The Open House
Regia: Matt Angel e Suzanne Coote
Cast: Dylan Minette, Piercey Dalton, Sharif Atkins e Patricia Bethune
Anno: 2018


Girl Power:

La Trama

"Dopo la morte del padre, l'adolescente Logan si trasferisce con la madre in una gigantesca casa di montagna di proprietà di sua zia. Le cose si rivelano difficili fin dal primo istante, complice il fatto che la dimora, ufficialmente in vendita, viene visitata spesso da estranei e sconosciuti d'ogni tipo interessati a comprarla. Quando una serie di eventi inspiegabili inizia a verificarsi all'interno delle quattro mura, Dylan e sua madre precipitano rapidamente incontro a un incubo a occhi aperti..."



Ecco qua, ci risiamo: dopo aver messo a segno una tripletta vincente di film horror deliziosamente imperdibili (“Il Gioco di Gerald”, “1922”, “La Babysitter”), Netflix ha sentito l’esigenza di tornare a sfornare l’ennesimo, insulso mattoncino in salsa thriller della stagione.
The Open House” è la pellicola d’esordio dei registi Matt Angel e Suzanne Coote. Del cast fanno parte Piercey Dalton, Dylan Minnette, Sharif Atkins e Patricia Bethune. Non ho alcuna desiderio di indorare particolarmente la pillola: credo si tratti di un esemplare cinematografico di rara e indescrivibile mediocrità, confusionario e noioso oltre ogni capacità di descrizione.

Una serie di scelte registiche imbarazzanti e una sceneggiatura delirante contribuiscono senz’altro a rendere “The Open House” uno dei titoli peggiori della stagione. Ma ciò che davvero ho faticato a digerire, a dirla tutta, è stata l’irrazionale convinzione (basata Dio solo sa su cosa…) di poter affidare un ruolo da protagonista assoluto a un attore così giovane, immaturo e inesperto come Dylan Minnette (diventato pseudo-famoso grazie al successo planetario riscosso dalla serie tv “Tredici”…), un ragazzino che ha sicuramente del talento, ma ancora tanta, tantissima strada da compiere, prima di potersi affermare come un artista degno di tale nome.

In realtà, non sono neppure del tutto sicura di essere riuscita a identificare le emozioni e le reazioni che i registi/sceneggiatori del film si proponevano di suscitare con la loro opera. Quale dovrebbe essere, in teoria, l’obiettivo di un delirio sconclusionato e sgraziato come questo inutilissimo “The Open House”? Angel e Coote avevano forse intenzione di angosciare il pubblico a forza di dialoghi macchinosi e ossessivi flashback martellanti? Di riempirci il cuore di sgomento e terrore, a furia di propinarci l’agghiacciante sequenza di Minnette che si leva le lenti a contatto pizzicandole ancora più maldestramente di quanto sia mai stata in grado di fare io?

Se almeno la sceneggiatura fosse riuscita a giocare un po’ meglio con la (scarsa) psicologia dei suoi personaggi, o la regia a selezionare un tema portante, o anche solo a decidersi ad adottare uno stile qualsiasi, magari adesso potrei spendere due parole positive a proposito di “The Open House”. E invece no: posso soltanto ribadire la mia delusione, e incoraggiare qualsiasi anima buona sia riuscita a seguire il film fino ai titoli di coda a farsi avanti e a spiegarmi, per piacere, cosa diamine mi dovrebbe voler significare un finale sconclusionato e insoddisfacente come quello…. :(


Giudizio personale: 
3.5/10



10 commenti:

  1. Risposte
    1. Mi sembra un ottimo modo per risparmiare tempo prezioso, Mik! ;D

      Elimina
  2. Speravo che Dylan Minnette dopo Tredici scegliesse qualcosa di più interessante. La colpa della scarsa riuscita di questo film comunque non è sua, quanto di scelte registiche e di sceneggiatura deliranti, come giustamente hai sottolineato. :)

    Sarebbe anche stata una pellicola comica di buon livello, peccato abbiano voluto fare un thrillerino-horrorino troppo serioso e inverosimile.

    Il finale credo possa essere spiegato nella frase che la vicina psicopatica a un certo punto rivolge ai protagonisti: "Una volta che la morte entra nella tua vita, ti perseguita", o qualcosa del genere. Ma resta una s**onzata senza senso comunque. XD

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sono pienamente d'accordo con te, Marco: un pizzico di ironia o umorismo non avrebbero sicuramente guastato, anzi... magari sarebbero bastati ad alleggerire l'atmosfera e a renderci la visione meno tediosa.
      Hai ragione, a proposito del finale: probabilmente la chiave di lettura giusta va cercata proprio nei dialoghi con la vicina (ho continuato a interrogarmi sul significato del suo personaggio per ore, fra l'altro, senza riuscire a cavarne un ragno del buco! XD). Grazie! ^____^

      Elimina
    2. E se fosse tutto frutto di una allucinazione di Logan in preda ad un disturbo schizofrenico post traumatico dopo il lutto? Una specie di Ed Norton in Fight Club in cui idealizza un possibile serial killer per giustificare le orribili efferatezze causate dalla sua personalità disturbata. D'altra parte l'unico omicidio che si vede è quello in cui accoltella sua madre... che si era nascvosta nella cantina x sfuggire dal figlio impazzito. Il vicino nero con tutta probabilità lo ha sgozzato lui. Dove si è visto un serial killer che toglie le lenti a contatto alla vittima? È una chiara metafora della doppia personalità.
      Comunque resta sempre un film demmerda....

      Elimina
  3. Non mi ispira particolarmente, ma visto che ne parlate tutti così male, potrei farci un pensierino XD

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ahahaha capisco perfettamente l'impulso, Giusy! Altroché, se lo capisco! ;D

      Elimina
  4. E se fosse tutto frutto di una allucinazione di Logan in preda ad un disturbo schizofrenico post traumatico dopo il lutto? Una specie di Ed Norton in Fight Club in cui idealizza un possibile serial killer per giustificare le orribili efferatezze causate dalla sua personalità disturbata. D'altra parte l'unico omicidio che si vede è quello in cui accoltella sua madre... che si era nascvosta nella cantina x sfuggire dal figlio impazzito. Il vicino nero con tutta probabilità lo ha sgozzato lui. Dove si è visto un serial killer che toglie le lenti a contatto alla vittima? È una chiara metafora della doppia personalità.
    Comunque resta sempre un film demmerda....

    RispondiElimina

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...