Nel romanzo gotico “Il Filo Avvelenato”, una prigioniera in attesa di esecuzione e una giovane dama dell’alta società britannica danno inizio a una serie di colloqui e confrontano le loro storie. A separare i loro destini, un passo più breve di quanto potreste pensare.
Perché, come diceva un certo clown di professione, la verità
è che «Sei solo a una giornata storta dal diventare come me...»
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La trama
È l’inizio dell’Ottocento,
in Gran Bretagna, e Dorothea Truelove si prepara a visitare
l’ennesima prigioniera sventurata nel carcere
femminile che ha deciso di prendere sotto la sua ala.
La giovane dama è un’appassionata di frenologia, la “scienza” che studia la presunta correlazione fra la psiche e la conformazione del cranio umano.
Il sogno più grande di
Dorothea è quello di provare che esiste davvero un modo per anticipare (e
prevenire) i comportamenti violenti
delle persone, semplicemente monitorando
le condizioni di sviluppo del cervello nell’arco della crescita di un individuo
considerato “a rischio”.
Ruth Butterham,
dal canto suo, sta aspettando il verdetto di un processo che può concludersi in un modo soltanto, dal momento che
la ragazza ha già confessato di
essere l’unica responsabile della morte della sua padrona.
Dorothea considera Ruth la cavia perfetta: se riuscirà a
farla parlare, a farle confessare i suoi
peccati, potrà studiare i bozzi e gli avvallamenti che costellano il cranio
della ragazza e, in caso di pentimento,
testimoniare “dal vivo” un’eventuale cambiamento delle loro forme!
Ma quando Ruth inizia a raccontare la sua storia, le sue parole colpiscono il petto di Dorothea come
un dardo avvelenato.
Perché Ruth afferma di possedere un potere letale – quello di uccidere
a distanza, semplicemente infondendo la potenza erosiva delle sue emozioni attraverso l’uso di ago e filo.
E nulla di tutto quello che le è accaduto sembra rispecchiare
i facili preconcetti su cui Dorothea
ha continuato ad adagiarsi per tutta la vita...
Il Corsetto
In realtà, la mia recensione
de “Il Filo Avvelenato” si basa sull’edizione UK dell’opera, “The
Corset”.
Nel mondo anglofono, il romanzo di Laura Purcell vanta infatti
due titoli diversi: nella versione USA, la copertina riporta semplicemente le
parole “The Poison Thread”.
E...
Bè, su una cosa potete contare: porterò il ricordo di questo libro con me per molto, molto tempo!
“Il Filo Avvelenato”
è una sorta di horror storico. Contrariamente
a quanto spesso avviene, Laura Purcell si prende la briga di mostrarci ogni
aspetto dell’epoca ottocentesca, compresi quelli più sordidi e rivoltanti, e non soltanto i balli, i corteggiamenti
e le convolute norme sociali che
scandivano il ritmo della vita dell’alta società di quel tempo.
All’inizio, il divario fra la vita lussuosa e agiata di
Dorothea, e quella sventurata e oppressa da fame, lutto e povertà di Ruth, non
potrebbe sembrare più vasto. Ma parte dell’abilità dell’autrice sta proprio nel
restringere progressivamente questo
abisso, fino a ricordarci uno degli assiomi fondamentali della storia dell’umanità:
il fatto che ogni società partorisce i
propri mostri.
Il giudizio dei posteri, poi, si baserà sul modo in cui quella
comunità avrà deciso di gestirli.
Con onestà? Con imbarazzo, responsabilità e compassione?
O semplicemente con indifferenza, rapacità e cattiveria?
Il giro di vite
Nel mondo macabro, spietato e grigio de “Il Filo Avvelenato”, sembra proprio che
i personaggi decidano di sguazzare nei propri vizi; di tenerli lì in bella vista, perfino nel momento in
cui continuano a mentire e raccontare storielle a se stessi.
Il marchio di Dorothea, ad esempio, è la sua stessa ipocrisia. Mentre Ruth cade spesso
preda di un’ingenuità e di una carenza
di autostima impossibili da riscattare.
La ricostruzione
storica di Laura Purcell si rivela accurata, tragica e dolorosa. Basta
leggere una manciata di pagine per cominciare a sentire il fetido miasma della vita
cittadina sulla guancia; il suo fumo mefitico che ti brucia nei polmoni.
“Il Filo Avvelenato” è un romanzo cruento, che tende a sfociare spesso nel raccapricciante e nel grottesco.
Le sue scene di violenza non vengono mai mostrate in modo esplicito, ma l’autrice
riesce comunque a evocare in chi legge quel particolare senso di stomaco in
rivolta e denti affondati nelle nocche, un subbuglio dell’anima che
contraddistingue tutti i migliori romanzi
di tensione.
Non sono sicura di aver amato il finale, ma di sicuro l’ho trovato... appropriato? Inevitabile? Non saprei come altro
spiegarlo.
Il miscuglio di emozioni
che ho provato mi ha fatto pensare a certi romanzi di Sarah Waters; soprattutto per quanto riguarda l’originalità dell’intrigo, della componente psicologica e dei colpi
di scena.
Ma “Il Filo Avvelenato”
narra sicuramente una storia dal timbro molto, molto più dark e disperato. Non esattamente il genere di libro da leggere
in spiaggia, a un picnic fra amici o come “riempitivo” fra una commissione e l’altra,
insomma.
Tuttavia, sospetto che gli estimatori del genere lo troveranno irresistibile. Ipnotico, pericoloso e dannato; come il vero volto di un passato che in molti, purtroppo, tendono ancora a idealizzare...
Cavolo, l'ho ignorato bellamente perché non mi interessava, e poi scrivi una recensione così. Ora va messo in wish list.
RispondiEliminaSe non fosse stato per un consiglio della sorellina, probabilmente anch'io l'avrei ignorato... e avrei preso un grosso granchio, perché, secondo me, è un libro davvero originale e ben congegnato! ^___^
Eliminaok che non amo l'horror, ma questo mi fa gola! sarà il contesto storico, la frenologia... ma mi pare abbia una storia ben scritta e con tutti i requisiti per appassionare il lettore.
RispondiEliminaGrazie per il consiglio!!
Assolutamente, Angela! Le tonalità sono un po' macabre, ma alla fine non ci sono scene veramente "spaventose"... se ti piace il genere storico, potrebbe fare al caso tuo! ;D
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