sabato 1 ottobre 2011
Recensione: Blood story (Let me in)
REGIA: Matt Reeves
ATTORI: Kodi Smith-McPhee, Chloe Moretz, Richard jenkins, Chris Browning, Cara Buono.
"Blood story: Let me in" è il remake americano di un film prodotto in Svezia nel 2008, tratto a sua volta dal famoso best-seller internazionale di John Lindqvist.
E' una pellicola, potremmo quasi dire, di quelle "come si facevano una volta", quando i vampiri erano ancora l'emblema universale del male torbido e fascinoso, dell'innocenza "capovolta".
Ad anni luce di distanza sia dai nuovi canoni vampirici ai quali ci hanno abituato i recenti film/romanzi piovuti giù a ondate dopo il successo planetario di "Twilight and Company", sia dagli adrenalici action movie in stile "Underworld", "Blade" eccetera, "Blood story" si propone come una sorta di inquietante, sinistra riflessione sulla natura del male, dell'amicizia, dell'amore e della solitudine.
Il protagonista, Owen, è infatti uno che, a dodici anni, sa perfettamente cosa vuol dire sentirsi soli e storditi a questo mondo. Vive con la madre depressa e alcolizzata, maniaca religiosa, e non vede il padre da mesi. I bulli a scuola lo picchiano e lo umiliano in continuazione. Gli altri ragazzini lo ignorano. La sua vita è piena solo di sogni, vuoto siderale e una gran quantità (pericolosissima) di rabbia repressa e amarezza abissale.
La piccola Abbie è una vampira, intrappolata nel corpo di una ragazzina per il resto dell'eternità. Si considera un mostro (quale in effetti è), e si sposta di città in città, braccata dalle forze della polizia, lasciandosi dietro una scia di morte spaventosa. Ad Abbie non piace essere quello che è. Ma ci sono cose che non si possono cambiare, per quanto intensamente si possa desiderare il contrario.
La sofferenza di Owen e Abbie, sebbene di natura così diversa, è il terreno di coltura ideale per la nascita di un legame fortissimo e speciale. Il senso di alienazione e di sconfitta che entrambi, a modo loro, sembrano destinati a provare, si infrange nel momento in cui si trovano e iniziano a capirsi l'un l'altro. Se si fosse trattato di un tipo di film diverso, alla Spielberg per capirci, invece che di un horror formidabile, forse a questo punto della trama allo spettatore sarebbe persino scappata una lacrimuccia.
Invece tutto quello che si riesce a provare è una scarica di brividi lungo la schiena, perché l'inizio del legame fra i due ragazzini coincide, oltre che con la fine del loro lungo e solitario isolamento emotivo, anche con l'inizio di una spirale di violenza e sangue senza precedenti all'interno della piccola cittadina in cui i due vivono.
Alcune sequenze di questo film credo che mi resteranno indelebilmente impresse. Nel corso degli anni credo di aver avuto modo di guardare film dell'orrore a centinaia, e la maggior parte di loro tende a scivolare via dalla mia memoria nel giro di poche settimane (in alcuni casi, nell'arco di una manciata di giorni, addirittura).
Ma credo che "Blood story" resisterà alla prova del tempo, perché tutto in questa pellicola, dalla trama incalzante alla recitazione pacata e calibrata dei giovani attori, dalla fotografia tetra agli effetti speciali, ha cospirato per rendermi partecipe durante la visione di una vicenda che mi ha intrigato e colpito.
Adesso vi confesso che mi è venuta una gran voglia di guardare anche il film originale, e poi forse vorrò anche leggere il libro di Lindqvist.
Per chiudere, una piccola curiosità: fino a ieri non lo sapevo ma, a quanto pare, "Blood story" è il primo film rilasciato dalla leggendaria casa di produzione Hammer House dopo moltissimi anni di inattività.
Un bellissimo "rientro in campo", non c'è che dire.
Giudizio personale: 8.5/10
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