Su Amazon Prime Video è arrivato “Master”, un inquietante thriller psicologico interpretato da Regina Hall e diretto da Mariama Diallo.
Una pellicola che è al 40% Dark Academia, 60% Black Horror, e 100% denuncia sociale;
una storia dai risvolti drammatici, scioccanti e pessimisti che va a collocarsi
sulla scia di titoli come “Antebellum”, “Them” e “Noi”...
La trama
Gail Bishop (Regina
Hall) è appena diventata la prima
preside di colore in una prestigiosa e snobbissima scuola del New England.
Jasmine Moore (Zoe
Renee) è una matricola del primo anno alle prese con un numero di
difficoltà estremamente superiore al normale.
Il loro è un istituto antico, rinomato e privilegiato.
Studenti e insegnanti amano dichiararsi (ipocritamente) progressisti, ma la verità è che fra le loro fila militano quasi
esclusivamente bianchi, persone
facoltose e viziate che fanno fatica anche soltanto a relazionarsi con le vere
sfide e insidie del mondo reale.
E, in effetti, è come se costoro vivessero in un mondo parte. Uno che fa veramente fatica ad accettare Jasmine, con la sua pettinatura afro e l’indole da outsider.
Ma, in fondo, non è che a Gail le cose vadano poi tanto meglio: non nel momento
in cui si trova costretta a prendere possesso di una sinistra magione in stile coloniale, un posto che sembra fare il
possibile per richiamare in vita i “fasti” di un passato a base di pregiudizio, sofferenza e schiavitù.
La situazione degenera nel momento in cui Jasmine entra in
contatto con l’incarnazione di un’oscura
leggenda, una sinistra figura che si aggira per i corridoi e che, secondo alcune
voci, rappresenterebbe nientemeno che il fantasma di una strega giustiziata sul terreno della scuola.
Da quel momento in avanti, la ragazza si ritrova invischiata
in una rete di bugie, sospetti ed eventi inspiegabili, una spirale che sembra
determinata a trascinare la sua vita in una direzione alquanto oscura... e pericolosa.
Riuscirà la nuova preside a risolvere il mistero della maledizione che aleggia sul college,
prima che sia troppo tardi?
Dead Poets Society... un corno!
Nonostante le sue pecche, ritengo “Master” un film estremamente affascinante.
Nel complesso, certo, temo di averlo trovato un po’ didascalico, e tutt’altro che sottile
nell’elaborazione delle sue tematiche...
ma sfido chiunque a mettere in discussione la
potenza massacrante del suo finale,
o quel particolare senso di disagio,
infido e strisciante, che continua a insinuartisi sotto la pelle per l’intera
durata della visione.
Mariama Diallo offre agli spettatori la sua personale prospettiva
sulle tematiche “gemelle” del razzismo
e del privilegio; e si potrebbero
forse tirare fuori molti difetti dalla sceneggiatura – che sia un bulldozer, ad
esempio, è indubbio; il fatto che le sue componenti horror e di satira sociale
avrebbero potuto legarsi a creare una sinfonia più armonica, pure - ma la verità è che si tratta di un’interpretazione
dannatamente convincente!
Il terzo atto, deliberatamente ambiguo, si presta a più di
una lettura: sovrannaturale o di ordine psicologico, a seconda della
personale inclinazione del pubblico. Ma, in fondo, non è che faccia poi tutta
questa differenza: il messaggio,
dopotutto, arriva forte e chiaro, e perfino il più ignaro e meno incline all’(auto-)introspezione
degli spettatori rischierà di restare tramortito dalla sua intensa carica
vitale.
Aldilà di tutto, non posso fare a meno di apprezzare il
coraggio e l’intraprendenza dimostrata da Mariama Diallo: dopotutto, se esiste
un genere più “bianco” ed elitario del Dark Academia, confesso di non averlo ancora mai trovato.
Sfruttare le sue convenzioni, evocare le sue suggestive
atmosfere e cercare di ampliare i suoi orizzonti per
raccontare la storia di due donne emarginate, respinte da quello stesso sistema culturale occidentale “classico”
che, in teoria, avrebbe dovuto accoglierle, nutrirle e proteggerle... non so
voi, ma l'ho trovata un'idea decisamente brillante!
Anatema sociale
D’altro canto, confesso che mi sarebbe piaciuto vedere “Master”
abbracciare la sua natura “orrifica”
con un pizzico di convinzione in più, e magari anche concedere a noi spettatori
la possibilità di scoprire qualcosa in più a proposito della “maledizione” che affligge la scuola... e
intendo ovviamente aldilà della sua incontrovertibile valenza metaforica.
Le atmosfere rarefatte, i dialoghi criptici e le apparizioni
appena intraviste con la coda dell’occhio contribuiscono senz’altro a suggerire
un senso di suspense e pericolo incombente; ma se il film
avesse concesso più spazio alla caratterizzazione
psicologica dei personaggi, anche al di là delle loro ansie, delle loro paure e
dei loro stigmi sociali,
probabilmente il mio cuore avrebbe battuto più forte in almeno una dozzina di
occasioni.
Il discorso vale tanto per le due protagoniste, quanto per i
personaggi secondari: ad esempio, l’insegnante d’arte Liv Beckman (Amber Gray) rimane secondo me un enigma
dall’inizio alla fine e, onestamente, ho trovato il tentativo di inserire il
suo abbozzato arco narrativo all’interno della storyline principale un’operazione
abbastanza goffa e fallimentare.
Inoltre, capisco la necessità di presentare il gruppetto di mean girls formato dai personaggi di Sofia Hublitz, Talia Ryder e Ella Hunt
sotto una luce completamente negativa:
dico sul serio, lo capisco. “Master”
racconta la storia di Jasmine e Gail,
non la loro, per cui tenerle relegate ai margini risulta indubbiamente giusto e
sacrosanto.
Ma siamo sicuri al 100% che trasformarle in spauracchi, sottrarre ogni forma di complessità dal loro rapporto
con Jasmine, sia stata la scelta ideale, dal punto di vista del potenziale narrativo... o dello stesso personaggio interpretato da Zoe Renee, quanto a questo?
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