giovedì 7 aprile 2022

Recensione: "The Justice of Kings", di Richard Swan

L’autore esordiente Richard Swan firma il romanzo fantasy grimdark “The Justice of Kings”, primo volume della trilogia “Empire of the Wolf”.

Un libro dalla trama piuttosto convoluta e interessante, che tuttavia non si rivela minimamente sufficiente a compensare la somma dei suoi (pantagruelici) difetti: uno stile asettico e pasticciato, un world-building inconsistente, personaggi clonati, una narratrice odiosa e un paternalismo di fondo che farebbe cadere le braccia persino a un personaggio maschile inventato da Brandon Sanderson...

 

Empire of the Wolf, Vol. 1

Potete acquistarlo QUI in inglese



La trama

Sir Konrad Vonvalt incarna la Giustizia dell’Imperatore; in qualità di rappresentante della legge, ha sempre potuto contare su una verità inconfutabile: la sua parola è sacra.

L’uomo viaggia attraverso le zone più remote e selvagge dell’Impero, con il compito di assicurarsi che la legge venga rispettata, a qualsiasi costo e, soprattutto, attraverso qualunque mezzo necessario: che si tratti della sua spada, degli arcani segreti tramandati dal suo Ordine, o dalla sua enciclopedica conoscenza dei codici civili e penali che sostengono l’Impero.

Ma poi un passante riviene il corpo di una nobildonna sulla sponda di un fiume, e Vonvalt viene chiamato a investigare.

Per la prima volta dall’inizio del suo incarico, si ritrova quindi ad affrontare un caso complesso e la possibilità di una cospirazione in grado di sfidare apertamente la sua autorità, fino a quel momento considerata inviolabile.

Perché, dietro l’omicidio della donna, potrebbe nascondersi un piano criminale in grado di scatenare un’ondata di violenza senza precedenti attraverso l’Impero...

 

Un giallo dalle sfumature... grimdark?

Spezziamo subito una lancia in favore di “A Justice of Kings”, e diciamo le cose come stanno: i primi capitoli del libro sono molto originali e promettenti, e lasciano sicuramente intravedere del potenziale per molte avventure future.

Il romanzo di Richard Swan, infatti, comincia come una sorta di stuzzicante “giallo” alla Agatha Christie in un contesto fantasy, fra indizi da raccogliere, piste da seguire e testimoni da interrogare.

Una premessa che mi aveva riempito di entusiasmo: nelle giuste circostanze, l’assoluta novità della formula avrebbe potuto addirittura dare i natali al precursore di un sottogenere completamente nuovo, ragazzi!

Un’idea supportata, peraltro, anche dalla peculiare scelta del narratore intrapresa da Swan: in “A Justice of Kings”, infatti, gli eventi vengono narrati in prima persona, ma non dal punto di vista del protagonista... a fornire un resoconto dei fatti provvede, piuttosto, una giovane donna che svolge le funzioni di assistente e collaboratrice personale, un’orfana di guerra chiamata Helena Sedanka.

Se proviamo a pensare a uno dei più famosi esempi di narratore allodiegetico  della storia della narrativa... bè, scommettiamo che “Sherlock e Watson” saranno fra le primissime parole che vi balzeranno in mente?

Purtroppo, tutto l’appeal della premessa tende a sgretolarsi dopo un centinaio di pagine, o giù di lì; vale a dire nel momento preciso in cui Swan decide di fare dietrofront e trasformare il suo romanzo in una fotocopia sbiadita di “The Witcher”.

Una cambio direzione che, secondo me, serve soltanto a scagliare la sua opera nell’abisso della mediocrità.

Tanto più che né i suoi personaggi (piattissimi e irritanti, quanto non apertamente odiosi...); né il world-building darkettone (evidentemente ispirato a videogiochi in stile Skyrim e Dragon Age) riescono a tenere viva l’attenzione del lettore per più di tre o quattro paragrafi di fila.

 

Helena Sedanka e il mondo degli stereotipi di genere

Se qualcuno provasse innestare una parte del patrimonio genetico del dottor House nel corpo di un clone di Geralt di Rivia, probabilmente otterremmo un personaggio molto simile a Vonvalt.

Oddio, in realtà, per portare a casa il risultato, dovremmo prima assicurarci di sottrarre tutto l’acume, l’umanità e il sarcasmo del personaggio interpretato da Hugh Laurie, e sostituirli con un carico di ombrosità, demenza e gigioneria completamente ingiustificati (ecco: mi sa che queste tre qualità, il nostro ipotetico “doppleganger” potrebbe tranquillamente ereditarle dal suo altro “genitore! XD)

Helena, dal canto suo, è un personaggio anche peggiore. Trascorrere del tempo “intrappolati” dentro la sua testa si è rivelato frustrante e, francamente, anche "un tantino” offensivo.

A parte il fatto che “The Justice of Kings” non passerebbe un semplice Test di Bechdel neanche in un milione di anni, il problema è proprio che questa cosiddetta “eroina” di Swan riesce a incarnare ogni singolo stereotipo femminile mai concepito.

Irrazionale, bisbetica, gelosa, isterica, lagnosa... Ed ecco che, guarda caso, i personaggi maschili si trovano continuatamente costretti a stomacare le evidenti lacune di Helena in preda alla virtuosa compostezza e alla granitica condiscendenza di un vero proprio fondatore del patriarcato!

Nel sequel, mi aspetto di imbattermi come minimo in un paio di “simpatiche” battute sul suo ciclo mestruale e sulla sua assoluta incompatibilità di carattere con qualsiasi altra donna mai nata sotto il sole.

Come se non bastasse, Swan insiste ad appiccicare addosso alla sua Helena una storyline romantica melodrammaticissima e sconclusionata, peraltro con un soldatino che è praticamente un manichino, uno scaldaletto senza faccia che il protagonista andrà, senz’ombra di dubbio, a sostituire nel corso dei prossimi volumi.

Anche se Vonvalt è, al tempo stesso, una sorta di figura paterna per Helena; anche se è il suo datore di lavoro, il suo benefattore e, in definitiva, l’unica cosa che la separa da un futuro a base di fame, stenti e violenza.

Mmm...

Non so voi, ma se fossi in Richard Swan, io una quindicina di minuti a studiare il significato, le implicazioni e le conseguenze del movimento #MeToo, magari li dedicherei anche.

Così... a titolo di ricerca “preventiva”, diciamo! XD

 

Stoccata finale

Dal canto suo, la tematica che il romanzo si propone di eviscerare – il rapporto fra Stato e Chiesa; l’immortale contrapposizione fra diritto canonico ed ecclesiastico – mi è sembrata abbastanza solida e interessante.

Il parallelismo fra la storia del mondo fittizio inventato da Swan e quella dell’Impero Romano ha suscitato la mia curiosità; anche se non saprei dirvi fino a che punto, dal momento che anche questo punto di forza viene continuamente messo in ombra da una narrazione acerba e traboccante di infodump, foreshadowing, deus ex machina e chi più ne ha, più ne metta.

In definitiva, la mia opinione generale (non richiesta) tende a vertere su un semplice punto: se Swan intende continuare a lavorare (e, soprattutto, prosperare...) nel campo della fiction, magari farebbe anche bene ad ampliare le sue conoscenze e a imparare a padroneggiare le più basilari tecniche dell’arte della storytelling: show, don’t tell; colpi di scena; tropes; eccetera, eccetera.

E leggere qualche libro fantasy in più, magari.

Perché non dubito che potrebbe trasformarsi in un eccellente scrittore di saggistica, un giorno.

Un brillante autore di testi a sfondo legale, o di qualsiasi altro argomento gli salti in mente di appassionarsi.

Oppure, chissà, potrebbe scrivere un fantastico secondo romanzo... Qualcosa mi dice che lo scopriremo presto! ;D





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