“Ghoul” è una miniserie horror
prodotta dalla Blumhouse (“The Visit”, “Auguri per la tua morte”) e ambientata nello squallido contesto di
una terrificante prigione indiana.
Non ho ben capito perché sia stata suddivisa in 3 episodi, quando si tratta evidentemente di un lungometraggio di
durata standard (poco più di 120 minuti complessivi), ma la visione si è rivelata comunque
piacevole e coinvolgente, quindi facciamo che per stavolta non mi lamento…
La miniserie è ambientata durante una fase di precarietà politica in cui le fazioni estremiste hanno preso il
potere e fondato una specie di dittatura nel nome del nazionalismo sfrenato. Il
che vuol dire che il governo ficca il becco dappertutto e si è fatto garante di
ogni singola regola comportamentale, religiosa, etica, culturale. Perciò
provvede una manica di burocrati dal colletto inamidato a decidere quali libri
la gente possa leggere e quali volumi, invece, vadano immediatamente arsi sul
rogo; e sono sempre loro a decretare come ci si debba vestire, che genere di
musica si possa ascoltare, quali parole possano essere pronunciate a voce alta
e quali invece identifichino le intollerabili avvisaglie del dissenso. E vi
lascio immaginare cosa possa mai accadere a questi (improbabili) ribelli, certa che non farete troppa
fatica a sommare due più due.
“Ghoul” segue, in
particolare, le vicende di Nida Rahim (Radhika
Apte), giovane nazionalista convinta, nonché “secondina” incaricata di
sorvegliare (con le buone o con le cattive) una manica di detenuti sciupati e
male in arnese. La situazione si complica con l'arrivo imprevisto di Ali Saeed
(Mahesh Baleaj), un prigioniero di
altissimo profilo, il cui comportamento inquietante e imprevedibile inizia a
far strisciare un sottile rivolo di paura lungo le schiene degli ufficiali in
comando...
Non voglio anticiparvi altro, in relazione alla trama di “Ghoul”, perché ritengo che sarebbe un peccato. I colpi di scena previsti dalla
sceneggiatura non sono tantissimi, anche se le ambientazioni claustrofobiche e
il ritmo serrato del montaggio contribuiscono a tenere viva l'attenzione. Vi
basti sapere che, non appena il fattore
sovrannaturale inizia a metterci lo zampino, sembra quasi di venire
trapiantati di peso sul set di “Resident
Evil”... Senza Milla Jovovich, ma con uno spirito maligno molto incazzato
pronto a rivoltare i prigionieri e i guardiani gli uni contro gli altri.
Ad ogni modo, l'episodio conclusivo è quello che mi è
piaciuto di più, probabilmente perché l'80% dell'azione va a concentrarsi
proprio in quest'ultima cinquantina di minuti; e poi, l'evidente “omaggio” al
film “La Cosa” contenuto nella
suddetta puntata mi ha elettrizzato, peraltro riuscendo a riscattare pienamente,
a mio avviso, un esordio dai toni vagamente monocordi.
Qual è il vero volto dell'orrore? È questa la domanda che
continua a echeggiare fra le celle soffocanti, le sale di tortura e le anonime camere
di esecuzione in cui si aggirano i personaggi della miniserie. I confini fra
buoni e cattivi potranno anche sembrare sfumati, all'inizio, ma la verità è
che, dal punto di vista di Patrick Graham (creatore e regista di “Ghoul”), alla
fine della fiera bisogna anche saper prendere
posizione, aprire gli occhi e imparare a distinguere la differenza che corre fra un mostro e un uomo, o fra un incubo incarnato e una persona innocente, semmai dovessimo avere la fortuna
sfacciata di incontrarne una...
Qualcuno potrebbe forse essere indotto a pensare, a questo punto,
che noi occidentali, facilitati in questo compito dalla nostra secolare
familiarità con il concetto di “democrazia”, dovremmo essere più bravi di tanti
altri e riuscire ad aggiudicarci questa “partita” con estrema facilità. Ma voi
e io ormai conosciamo la verità su questa arrogante presupposizione, dal
momento che il recente clima politico ha contribuito a rivelarla per ciò che
era in realtà (vale a dire un gran bel mucchio di fragranti “cazzabubbole”, se
mi si concede di prendere in prestito un termine caro a Tullio Dobner,
traduttore storico di tanti romanzi di Stephen King). Con i tempi che corrono, meglio
evitare di dare troppe cose per scontate... Perciò sì, guardiamoci “Ghoul”, senza esitare e, soprattutto, senza
lasciarci sopraffare da nessun inutile moto di superiorità nei confronti di una
cultura così diversa (ma mica poi tanto…) dalla nostra. Ché davvero non avrebbe
senso, fidatevi, né da un punto di vista morale, né da uno prettamente
televisivo/cinematografico... Anche perché, miniserie di questo livello, per il
momento in Italia possiamo anche sognarcele...
In estrema sintesi: Un interessante “survival horror” indiano
dedicato al classico tema del “delitto + castigo”. L’esecuzione non brilla
certo per originalità, ma il risultato finale mi è sembrato comunque più che
discreto…
Non la conoscevo, ma credo proprio che la metterò nella lista delle cose da vedere :D
RispondiEliminaOttimo, Kate! :D
EliminaUna delle cose che adoro di Netflix è proprio questa: per quanta familiarità una persona possa avere con il catalogo, c'è sempre qualche gemma nascosta in attesa di essere scoperta! ^_____^
Vedrò senz'altro, sì!
RispondiEliminaBravo, Mik! Poi allora ci racconterai che cosa ne pensi! ^____^
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