Concediamoci oggi qualche minuto per parlare un po’ di “Unicorn Store”, il lungometraggio che
ha segnato il debutto alla regia di Bree
“Captain Marvel” Larson. Un film
che difficilmente entrerà a far parte della storia del cinema, ma che, detto
fra voi e me, è riuscito a fare breccia nel mio cuore e a regalarmi una valanga
di emozioni; vale a dire un risultato che neppure il chiacchieratissimo finale
di “Avengers: Endgame”, a sorpresa, è
stato in grado di eguagliare.
Merito probabilmente delle tematiche-chiave trattate dalla sceneggiatura di “Unicorn Store”, che si propone di
narrare la dolce-amara storia di formazione della trentenne Kit (interpretata per l’appunto da
un’inedita, goffissima e adorabile Larson). Una delle pochissime donne rimaste
sul pianeta Terra disposte ad ammettere che crescere è difficile a qualsiasi età, perché questa parola in
realtà vuol dire qualcosa di molto diverso dal trangugiare caffè in quantità
industriale, spettegolare di scappatelle altrui e riempirsi la casa di pezzi d’arte
astratta. Per citare la stratosferica e compianta Ursula Le Guin: “I believe that maturity is not an
outgrowing, but a growing up: that an adult is not a dead child, but a child
who survived.”
La protagonista di “Unicorn
Store” riesce indubbiamente a compiere questa difficilissima impresa, dal
momento che, fin dalle primissime scene del film, appare chiaro che la vulcanica
“bambina interiore” di Kit è più viva e vitale che mai. La nostra eroina
infatti è una “ragazza grande” che, per motivi di forza maggiore, vive ancora a
casa con i suoi genitori; è una persona eccentrica, introversa e talentuosa,
fin troppo colorata e imprevedibile per i gusti dei suoi coetanei, che tendono
per questo a considerarla infantile e priva d’ambizioni. Così Kit finisce per rintanarsi
in casa e sprofondare in uno stato d’apatico isolamento, una situazione inasprita dal suo conflittuale rapporto
con i genitori (Joan Cusack e Bradley
Whitford) e dalla sua cronica incapacità di trovare un modo per incanalare
le sue febbrili energie creative, imbrigliate e messe alla berlina da chi, a
quanto pare, preferisce continuare a coltivare la propria immagine di “persona vincente e omologata che riesce a
sembrare sexy perfino mentre passa l’aspirapolvere”, piuttosto che
concedersi uno slancio di fantasia e di ottimismo una volta ogni tanto.
E… be’, la vita di Kit compie una brusca svolta il giorno in
cui riceve, quasi per caso, una misteriosa missiva proveniente da un losco
figuro, un logorroico negoziante (interpretato dall’immancabile Samuel L. Jackson) che le rivolge una
proposta straordinaria: se riuscirà a dimostrarsi degna delle aspettative, alla
nostra artista verrà infatti concessa niente meno che l’opportunità di portarsi
a casa… un bellissimo unicorno! Sì,
avete sentito bene: mi sto riferendo proprio al mitico destriero delle
leggende, un onirico amico per la vita, una creatura magica e speciale
scaturita direttamente fuori dalle pagine di una fiaba. L’idea, ovviamente,
basta e avanza a deliziare Kit sopra ogni altra cosa; da questo momento in
avanti, la donna si sforzerà in ogni modo di rivoluzionare la propria vita e di
guadagnarsi l’approvazione di questo misterioso e simpatico “negoziante di
unicorni”.
Da questa surreale premessa ai confini della realtà,
insomma, nasce uno dei miei film preferiti di questo 2019; un gioiellino raro e
prezioso che forse, agli occhi di molti altri, non avrà proprio nessun valore…
ma che ha per me ha significato veramente tantissimo, e che mi sentirei di
consigliare spassionatamente a qualsiasi fan del genere fantastico. E forse, più in generale, a chiunque abbia avuto
l’impressione, a un certo punto della propria vita, di non riuscire più a sentirsi a casa in questo mondo, e di non capire
più dove finisca esattamente il regno del Consumismo e della Finzione e dove
inizi invece quello della Personalità e dell’Essenza… ammesso poi che inizi
ancora da qualche parte.
Al di là di fattori “convenzionali” del linguaggio
cinematografico quali regia, fotografia, scenografia e via discorrendo, dunque,
ciò che è riuscito a imporsi maggiormente alla mia attenzione è stato soprattutto
il messaggio di “Unicorn Store”; un piccolo raggio di
speranza e di dolcezza, di sensibilità, onestà e accettazione, che verso la
fine del film mi ha ridotto sull’orlo delle lacrime e colmato di un profondo,
inconfutabile senso di gratitudine e rispetto nei confronti di Brie Larson, attrice
talentuosa ed essere umano dotato di rarissima intelligenza.
Decisamente il mio “feel-good” movie dell’anno, insomma,
a quanto sembra; anzi, probabilmente del decennio intero…
Spero tanto che resti disponibile su Netflix a tempo indeterminato, perché una certa vocina interiore mi
suggerisce che, nel corso dei giorni e delle settimane a venire, vorrò vederlo
ancora, e ancora, e ancora… XD
L'ho inserito nella lista di Netflix, ma non ho ancora avuto il tempo di guardarlo (in questo periodo quando ho tempo libero sono stanca, e quando sono stanca mi butto nei videogiochi)... però adesso il desiderio di vederlo è salito di nuovo alle stelle, e un film adorabilino che tira su il morale è proprio quello di cui ho il bisogno ^-^
RispondiEliminaUltimamente anch'io sono tornata a buttarmi un po' sul mondo dei videogiochi: tant'è che le mie serate adesso sono dedicate a "Life is Strange", che ho scoperto con almeno tremila anni di ritardo rispetto al resto del mondo, ehehe! XD
EliminaComunque secondo me il film è veramente carino, leggero, delicato... Da non perdere, insomma! ^^
Bentornata Sophie 😊 mi fa piacere ritrovarti e leggere di nuovo il tuo blog! 😊 Grazie per la recensione di questo film, mi incuriosisce, mi segno il titolo!
RispondiEliminaGrazie mille a te, Vanessa! ^____^
EliminaSpero che riuscirai a vederlo, e che ti diverta/commuova come è successo a me! ;D
A me è piaciuto molto l’aspetto visivo ma il film nel suo complesso non mi ha convinto molto
RispondiEliminaQuanto l'ho amato! Alla fine ho pianto a dirotto ahhahahahahahah
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