"Nel 1902, le studentesse Flora e Clara si lasciano ossessionare dal libro di una giovane scrittrice ribelle chiamata Mary MacLane, l'autrice di uno scandaloso memoir che ha venduto una quantità impressionante di copie. Per dimostrare la propria devozione, le ragazze fondano un circolo privato ispirato a quel libro, il Club delle "Plain Bad Heroines". Ma poco tempo dopo, i corpi delle due giovani vengono rinvenuti nel bosco, accanto a una copia del memoir. La scuola chiude i battenti - ma non prima che altre tre persone abbiano perso tragicamente la vita sul sito della scuola. Un secolo più tardi, l'autrice prodigio Merritt Emmons decide di scrivere un libro su quegli avvenimenti. Hollywood acquista i diritti per trarne un film horror e ingaggia la star Harper Harper e l'ex-talento della recitazione Audrey Wells per ricoprire i panni delle protagoniste. Ma non appena la scuola apre di nuovo i battenti, strani fenomeni inspiegabili iniziano a funestare le riprese e a mettere a repentaglio la sanità mentale della crew..."
“Plain Bad Heroines" è un libro gotico scritto da Emily
M. Danforth, già autrice del popolare YA di formazione “La
Diseducazione di Cameron Post" (pubblicato in Italia dalla
Harper Collins).
La nuova fatica della Danforth è un bizzarro esperimento narrativo che gioca molto con le
atmosfere e si basa principalmente sul concetto di metatesto.
Se esistesse un premio per la struttura narrativa più improbabile, "Plain Bad Heroines" farebbe presto ad aggiudicarsi una menzione speciale da parte dellla giuria. In pratica, il libro si
propone come una sorta di mash-up fra elementi tratti da svariate fonti di
ispirazione (letterarie e pop): da "Picnic
ad Hanging Rock" a "The
Blair Witch Project", passando per "Incubo a Hill House", “Paranormal
Activity” e l’intera biografia di Truman
Capote.
La trama è difficilmente riepilogabile, dal momento che abbraccia un mucchio di linee temporali e una quantità di digressioni abbastanza impressionante da fare invidia al titanico "American Gods" di Neil Gaiman. Comunque, probabilmente potremmo riassumerla in questo modo: una troupe hollywoodiana decide di trasformare una scuola femminile maledetta, ormai chiusa da anni, nel set di un nuovo progetto cinematografico. Il film che dovrebbero girare si propone di ripercorrere la tragica storia di Flo e Clara, le due ragazze innamorate che, all'inizio del ventesimo secolo, persero la vita nel bosco incontaminato che circonda l'Istituto. Ma la maledizione di Brookhants continua a colpire e a influenzare le menti di chiunque si trovi sul set, a partire dalla fragile e insicura Audrey Wells, l'attrice scelta per interpretare una delle protagoniste del film. La sua collega Harper Harper, diva gay in stile Kristen Stewart sulla cresta dell'onda, assiste a sua volta a una serie di avvenimenti inquietanti; lo stesso vale per Merritt Emmons, la caustica e brillante autrice del libro a cui si ispira il film di Audrey e Harper. Sulla scia di questa inquietudine condivisa, le tre donne cominciano o a sviluppare un forte legame di attrazione/repulsione, fino ad arrivare ad attribuire un significato del tutto nuovo al concetto di "poliamore saffico". Nel frattempo, il narratore quasi-onnisciente di "Plain Bad Heroines" ci prende per mano e ci mostra alcuni episodi relativi alla fondazione e alla maledizione della scuola. Una luuuuunga serie di retroscena che coinvolge molteplici coppie f/f (lungi da me lamentarmi...) e un paio di occultisti dalle intenzioni poco chiare (anche perché, sennò, che razza di occultisti sarebbero?).
Credo che il problema fondamentale di questo libro sia che la Danforth è stata lasciata un po' troppo in balia di se stessa, durante la sua stesura. Mi spiego meglio: "Plain Bad Heroines" è quel classico esempio di libro infinitamente troppo lungo e dispersivo per il suo stesso bene, pieno zeppo di retroscena irrilevanti e infarcito di chilometriche note "spiritose"; appunti che, in realtà, fanno presto a trucidare l’interesse del lettore. L'autrice, palesemente, si diverte un mondo a saltare di palo in frasca; a permettere al suo narratore di sfondare la quarta parete e a fare l'occhiolino al suo pubblico nei momenti meno indicati. Più che una ghost story o una commedia satirica in salsa horror (come promesso dalla quarta di copertina), a me “Plain Bad Heroines" è sembrato un po' il lungo aneddoto raccontato da una vecchia zia a una festa di compleanno; con il narratore che non fa altro che darti di gomito e far danzare in su e in giù le sopracciglia, ossessionandoti: “Allora, adesso l’hai capita? E adesso? Eh? Eh? Aspetta, che te la spiego meglio!”.
Tutto questo profluvio di punti di vista, giochetti di
parole e citazioni forbite, insomma, a lungo andare non fa altro che annacquare ciò che di buono
effettivamente risiede in questo libro: vale a dire un'ambientazione seducente e misteriosa, un cast di personaggi
potenzialmente interessanti e un paio di passaggi densi di tensione. Non sono una grande fan della cosiddetta “focalizzazione
zero”, e la lettura di “Plain Bad
Heroines” è servita a dimostrarmi, una volta di più, quanto poco questo
tipo di narrazione si adatti a un romanzo di stampo moderno. Tanto il più se il
finale risulta debole e
inconcludente, come in questo caso, e se finisce con il gettare alle ortiche ogni possibilità di
ricavare un messaggio o una fonte di stimolo intellettuale dal resto del testo.
Giudizio personale:
5.8/10
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