“Ava” è un film crime/action con Jessica Chastain, John
Malkovich e Colin Farrell,
diretto da Tate Taylor (già regista
de “La Ragazza del Treno”) e sbarcato
su Netflix nel corso del fine
settimana.
Si tratta di una pellicola incentrata, prevalentemente, sulla
vivacità delle sue scene di combattimento e sulle qualità attoriali della
Chastain, qui alle prese con il suo primo ruolo da protagonista in un film
d’azione dai tempi del magnifico “Zero
Dark Thirty”.
Ava è una pericolosa assassina,
una mercenaria altamente addestrata al servizio di un’organizzazione che la
spedisce continuamente in giro per il mondo alla ricerca di nuovi obiettivi. Un
brutto giorno, però, la donna commette un errore fatale e si ritrova costretta
a tornare nella sua città natale alla ricerca di un po’ di tregua; peccato che,
laggiù, ovviamente nessuno sappia quale sia esattamente la sua professione e
che la sua famiglia la consideri la
“pecora nera” della situazione, la
parente scomoda dalla quale doversi guardare le spalle o da insultare a
piacimento, un po’ a seconda dell’umore del giorno. Riuscirà Ava a sopravvivere
a un periodo di licenza forzata in compagnia della sua burbera madre Bobbi (Geena Davis), della sorella gelosa Jude
(Jess Weixler) e dell’ex fidanzato
Micheal (il rapper Common)?
“Ava” è uno di
quei film che si lasciano guardare senza arrecare nessun particolare attacco di
gastrite o narcolessia, e che pure ti spinge a domandarti in continuazione a cosa diavolo stessero pensando regista
e sceneggiatore, per riuscire a trasformare in un mezzo drama una storia dalle premesse così potenzialmente effervescenti
ed esilaranti. Perché il risvolto brillante di questa trama –
l’autentica “idea primaria” alla base di “Ava”,
diciamo – per me ha a che fare soprattutto con la multi sfaccettata caratterizzazione della sua protagonista e con la
sua duplice natura di anti-eroina un
po’ patetica e tormentata: da un lato, infatti, abbiamo la sicaria spietata, in grado di sbaragliare dieci soldati con una
mano legata dietro la schiena; dall’altra, la
ragazza complessata e perennemente bulleggiata dalla famiglia, che non
riesce a smettere di sentirsi dire dalla madre quanto faccia schifo la sua
acconciatura, o di imbarcarsi in una serie di petulanti alterchi con sua sorella.
Voglio dire, se non sarebbe stato un ottimo pretesto per una dissacrante
spy-story alla Paul Feig questa…
Il film di Taylor sottrae buona parte del glamour dalla figura di Ava, insomma,
trasformando il personaggio della Chastain in una figura estremamente diversa
da una tipica Nikita di nuova generazione alla Lucy o Lorraine Broughton. Questa
piccola “sovversione” del canone permette al regista di smentire le nostre
aspettative persino nel momento in cui le
conferma, quindi, e di trasformare la nostra visione in un’esperienza fresca e stimolante, perfino mentre ci propone la solita carrellata di scene al cardiopalma in cui
Ava sfoggia le sue arti marziali e si prende a botte con il mondo intero.
Purtroppo, la vena seriosa e
melodrammatica di Taylor lo costringe presto a rimediare a queste piacevoli
eccentricità con un carico spropositato di contro-concessioni
alle convenzioni del genere: e così, ecco arrivare l’immancabile traggggedia di
un mentore/figura paterna del quale, all’improvviso, si comincia a diffidare, o il padrino Colin Farrel che vuole ammazzare la protagonista anche se nessuno
(manco la sceneggiatore) sembra sapere esattamente il perché. Il tutto senza riuscire mai ad amalgamare bene (come invece mi
aspettavo) la dimensione privata di
Ava con le sue crescenti difficoltà
“lavorative”; senza riuscire mai a far deflagrare, in pratica, quelle
deliziose tonalità scoppiettanti che l’urto fra queste due inconciliabili sfere
avrebbe dovuto ragionevolmente innescare.
Eppure “Ava” resta un film gradevole, a modo suo. In qualche modo, l’assenza di grossi colpi di scena viene compensata dai numerosi escamotage tecnici messi in atto dal regista; a cominciare dai simpatici titoli di testa, che permettono allo spettatore di apprendere preziosi dettagli sul passato di Ava senza dover ricorrere, più avanti, a tediosi spiegoni o logorroici flashback. Le scene d’azione – convulse sparatorie simil-rpg o effervescenti scontri corpo-a-corpo coadiuvati da un abbondante uso della tecnica del cliffhanger – vengono gestite da Tate con estrema professionalità e competenza. Sulla carente caratterizzazione dei comprimari, o sulla (mancata) evoluzione di Ava, invece, ci sarebbe molto da recriminare… Ma, se non altro, il finale di “Ava” si lascia apprezzare per quello che è, con quella sua efferata scena di lotta/rissa da bar che fa un po’ il verso al crudo realismo di “Atomica Bionda”, e che riesce a colpire sorprendentemente nel segno.
Nonostante Jessica, mi sa che lascio stare...
RispondiEliminaCredo sia un film adatto soprattutto ai fedelissimi del genere, Mik! :D Jessica è fantastica - come sempre - ma la sceneggiatura lascia sicuramente un po' a desiderare...
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