mercoledì 3 febbraio 2021

Recensione: "An Artificial Night", di Seanan McGuire

 


October Daye, Vol. 3

Potete acquistarlo QUI in inglese

"Qualcuno ha cominciato a rapire i bambini - sia quelli umani che i bimbi del popolo delle fate -  e tutti gli indizi conducono a Blind Micheal, uno dei potentissimi Primi Figli discendenti di Maeve, Signora delle Fate. Quando i figli di una delle più care amiche di Toby scompaiono dalla loro stanzetta, in California del Nord, la detective capisce di non avere altra scelta: deve rintracciare il colpevole, anche se l'unica speranza di raggiungerlo passa per tre strade magiche e lungo i territori della leggendaria Caccia Selvaggia. Il problema è che nessuna strada può essere imboccata più di una volta... E se Toby non riuscirà a scappare con tutti i bambini prima che la candela che la guida e la protegge si consumi, sarà costretta a restare in quelle terre diaboliche e mostruose per sempre..."


An Artificial Night” è il terzo libro della serie dedicata a October Daye, detective changeling inventata dalla penna di Seanan McGuire (“Middlegame”, “Into the Drowning Deep”). Un’irresistibile saga urban fantasy ambientata a cavallo fra il misterioso Mondo delle Fate e il nostro, in un perfetto connubio di elementi tratti dal folclore celtico e dal genere poliziesco/thriller.

Come alcuni di voi avranno forse notato, il titolo di ogni romanzo della saga prende spunto da un verso di William Shakespeare. Una scelta che riflette i gusti personali della protagonista, ossessionata dalle opere del Bardo, e che al momento prevede citazioni tratte da “Sogno di Una Notte di Mezza Estate”, “Re Lear”, “Macbeth” o – come in questo caso – da “Romeo e Giulietta”.

In “An Artificial Night”, Toby viene chiamata a indagare su una scia di rapimenti che la coinvolgono piuttosto da vicino. Infatti, quando i figli di una delle sue migliori amiche scompaiono dai loro letti nel cuore della notte, la nostra eroina si rivela l’unica in grado di decifrare gli indizi lasciati sul luogo del delitto. Peccato che, soltanto poche ore, Toby abbia ricevuto la visita di un “fetch”, un doppleganger nato con il solo e unico obiettivo di annunciare la sua morte: riuscirà l’investigatrice a portare in salvo i bambini, prima che il Cupo Mietitore giunga a reclamare la sua anima?

Di questa serie amo soprattutto due cose: i personaggi e l’assurda capacità della McGuire di portare il concetto di “serializzazione” a un livello totalmente diverso da quello applicato dal 99% delle lunghe saghe urban fantasy a cui siamo abituati. Nei romanzi dedicati a October Daye, nulla accade mai per caso. Ogni fatto, retroscena, comprimario e colpo di scena si incastra nell’ottica di un mosaico infinitamente più ampio e denso di segreti. Al tempo stesso, però, ciascun libro si rivela perfettamente fruibile anche a prescindere dai suoi sequel o dai suoi predecessori. Per capire di cosa sto parlando, provate un po’ a pensare al modello tracciato dal MCU, con i suoi finali “singoli” di stampo (per lo più) autoconclusivo e le sue scene post-credits disseminate di "Easter eggs" rivolte al pubblico dei più affezionati!

Bisogna tenere presente che “An Artificial Night” ha esordito nelle librerie americane nel 2010, a solo un anno (uno!!) dalla pubblicazione di “Rosemary and Rue”, romanzo d’esordio ufficiale della McGuire. La prima parte di questo terzo capitolo delle avventure di Toby e compagni ci permette di intravedere chiaramente la stoffa di quella che, nel giro di cinque o sei anni o giù di lì, sarebbe diventata un’autrice di livello finissimo, senz’altro uno dei nomi di riferimento all’interno del panorama attuale della speculative fiction. Ma la seconda presenta dei piccoli vizi di forma, sui quali potrebbe valere la pena soffermarsi a riflettere.

La trama del libro esplode sulla carta come una bomba a orologeria, un ineguagliabile concentrato di azione, umorismo ed emozioni al cardiopalma. La voce narrante di Toby regala i consueti momenti di irresistibile ironia alla “Buffy – The Vampire Slayer”, e gli eventi si succedono a un ritmo forsennato, diabolico, costringendoti a voltare le pagine come se ne andasse della tua salute mentale.

Ho adorato la “new entry” del cast – la tenera ed eccentrica “foriera di sventura” May, che spero continuerà a far parte della saga anche nel corso dei volumi a venire – e la doverosa importanza concessa alla Luidaeg, l’onnipotente Strega del Mare che, fra un incantesimo del sangue e una bestemmia scandita a denti serrati, sospetto finirà per diventerà la miglior amica a cui un’inguaribile cinica dello stampo di Toby avrebbe mai potuto aspirare.

Da un punto di vista tecnico, purtroppo, c’è da dire che la struttura risente ancora molto di quella che ormai considero la Prima Fase autoriale della McGuire. La sua carriera è iniziata con la stesura di innumerevoli fan faction; va da sé che non ci sia nulla di male in questo, ma questo tipo di approccio, purtroppo, comprende anche una serie di limiti e controindicazioni. Non per ultima, una considerevole meccanicità nelle sequenze di intermezzo, vale a dire tutti quegli “spezzoni” che dovrebbero permettere allo spettatore di passare dal punto “A” al punto “B” della trama. E vi assicuro che, in "An Artificial Night", di questi momenti ce ne sono veramente a iosa!

In più di un’occasione, lo stile farraginoso mette a repentaglio la fluidità della lettura. Peraltro, una punta di insicurezza (tipica degli autori alle prime armi) spinge la scrittrice a cedere all’impulso di spiegare ripetutamente determinati passaggi della storia che, in realtà, risultavano chiari e lapalissiani fin dal principio.  

Questo atteggiamento finisce per compromettere soprattutto la qualità del climax e del finale, a mio avviso eccessivamente tirato per le lunghe. Non mi dilungherò troppo per evitare spoiler; ci tengo solo a ribadire che, secondo me, per evitare una certa tiritera di azioni, reazioni e assurdi sproloqui interiori (incastrati in un loop narrativo abbastanza avvilente), sarebbe bastato provare a concedere un po’ più di spazio alla caratterizzazione del villain. Blind Micheal (contrariamente a quanto la McGuire sembri pensare) non è un cattivo interessante. Nessun fiume di parole o arioso spiegone a pagina 300 – per quanto brillante o ben congegnato – avrebbe potuto avere il potere di ovviare a questo errore.

In ogni caso, sospetto che continuerò a consigliarvi questa serie a ogni piè sospinto, per cui tanto vale che cominciate ad arrendervi! XD La McGuire è una delle pochissime autrici disposte a scrivere urban fantasy (con protagonista femminile, nientemeno…) senza sconfinare nel campo del campo del paranormal hormonal romance. 

La sua immaginazione brillante, vividissima, le permette di evocare scenari meravigliosi; e il senso di aspettativa mozzafiato che ciascuno dei suoi volumi sembra contribuire a fomentare non fa altro che rafforzare la mia brama smodata di arrivare ai capitoli più recenti della saga. Scommetto che ne vedremo delle belle! *___*

 

 Giudizio personale:

7.2/10


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