October Daye, Vol. 3
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"Qualcuno ha cominciato a rapire i bambini - sia quelli umani che i bimbi del popolo delle fate - e tutti gli indizi conducono a Blind Micheal, uno dei potentissimi Primi Figli discendenti di Maeve, Signora delle Fate. Quando i figli di una delle più care amiche di Toby scompaiono dalla loro stanzetta, in California del Nord, la detective capisce di non avere altra scelta: deve rintracciare il colpevole, anche se l'unica speranza di raggiungerlo passa per tre strade magiche e lungo i territori della leggendaria Caccia Selvaggia. Il problema è che nessuna strada può essere imboccata più di una volta... E se Toby non riuscirà a scappare con tutti i bambini prima che la candela che la guida e la protegge si consumi, sarà costretta a restare in quelle terre diaboliche e mostruose per sempre..."
“An Artificial Night” è il terzo
libro della serie dedicata a October
Daye, detective changeling inventata dalla penna di Seanan McGuire (“Middlegame”,
“Into the Drowning Deep”). Un’irresistibile
saga urban fantasy ambientata a cavallo
fra il misterioso Mondo delle Fate e
il nostro, in un perfetto connubio di elementi tratti dal folclore celtico e dal genere poliziesco/thriller.
Come alcuni di voi avranno forse notato, il titolo di ogni romanzo della saga
prende spunto da un verso di William
Shakespeare. Una scelta che riflette i gusti personali della protagonista,
ossessionata dalle opere del Bardo, e che al momento prevede citazioni tratte
da “Sogno di Una Notte di Mezza Estate”,
“Re Lear”, “Macbeth” o – come in questo caso – da “Romeo e Giulietta”.
In “An Artificial
Night”, Toby viene chiamata a indagare su una scia di rapimenti che la coinvolgono piuttosto da vicino. Infatti, quando i
figli di una delle sue migliori amiche scompaiono dai loro letti nel cuore
della notte, la nostra eroina si rivela l’unica in grado di decifrare
gli indizi lasciati sul luogo del delitto. Peccato che, soltanto poche ore,
Toby abbia ricevuto la visita di un “fetch”, un doppleganger nato con il solo e unico obiettivo di annunciare la
sua morte: riuscirà l’investigatrice a portare in salvo i bambini, prima che il
Cupo Mietitore giunga a reclamare la sua anima?
Di questa serie amo soprattutto due cose: i personaggi e l’assurda capacità della
McGuire di portare il concetto di “serializzazione”
a un livello totalmente diverso da quello applicato dal 99% delle lunghe saghe
urban fantasy a cui siamo abituati. Nei romanzi dedicati a October Daye, nulla accade mai per caso. Ogni fatto,
retroscena, comprimario e colpo di scena si incastra nell’ottica di un mosaico
infinitamente più ampio e denso di segreti. Al tempo stesso, però, ciascun
libro si rivela perfettamente fruibile anche a prescindere dai suoi sequel o
dai suoi predecessori. Per capire di cosa sto parlando, provate un po’ a
pensare al modello tracciato dal MCU, con i suoi finali “singoli” di stampo
(per lo più) autoconclusivo e le sue scene post-credits disseminate di "Easter eggs" rivolte al pubblico dei più affezionati!
Bisogna tenere presente che “An Artificial Night” ha esordito
nelle librerie americane nel 2010, a
solo un anno (uno!!) dalla pubblicazione di “Rosemary and Rue”,
romanzo d’esordio ufficiale della McGuire. La prima parte di questo terzo
capitolo delle avventure di Toby e compagni ci permette di intravedere
chiaramente la stoffa di quella che,
nel giro di cinque o sei anni o giù di lì, sarebbe diventata un’autrice di livello
finissimo, senz’altro uno dei nomi di riferimento all’interno del panorama
attuale della speculative fiction. Ma la seconda presenta dei piccoli vizi di forma, sui quali potrebbe valere
la pena soffermarsi a riflettere.
La trama del libro esplode
sulla carta come una bomba a orologeria,
un ineguagliabile concentrato di azione, umorismo ed emozioni al cardiopalma.
La voce narrante di Toby regala i
consueti momenti di irresistibile ironia alla “Buffy – The Vampire Slayer”,
e gli eventi si succedono a un ritmo forsennato, diabolico, costringendoti a
voltare le pagine come se ne andasse della tua salute mentale.
Ho adorato la “new entry” del cast – la tenera ed eccentrica
“foriera di sventura” May, che spero
continuerà a far parte della saga anche nel corso dei volumi a venire – e la
doverosa importanza concessa alla Luidaeg,
l’onnipotente Strega del Mare che, fra un incantesimo del sangue e una
bestemmia scandita a denti serrati, sospetto finirà per diventerà la miglior amica a cui un’inguaribile
cinica dello stampo di Toby avrebbe mai potuto aspirare.
Da un punto di vista tecnico, purtroppo, c’è da dire che la struttura risente ancora molto di
quella che ormai considero la Prima Fase autoriale della McGuire. La sua
carriera è iniziata con la stesura di innumerevoli fan faction; va da sé che non ci sia nulla di male in questo, ma
questo tipo di approccio, purtroppo, comprende anche una serie di limiti e
controindicazioni.
Non per ultima, una considerevole meccanicità
nelle sequenze di intermezzo, vale a dire tutti quegli “spezzoni” che
dovrebbero permettere allo spettatore di passare dal punto “A” al punto “B”
della trama. E vi assicuro che, in "An Artificial Night", di questi momenti ce ne sono veramente a iosa!
In più di un’occasione, lo stile farraginoso mette a repentaglio la fluidità della lettura. Peraltro,
una punta di insicurezza (tipica
degli autori alle prime armi) spinge la scrittrice a cedere all’impulso di
spiegare ripetutamente determinati
passaggi della storia che, in realtà, risultavano chiari e lapalissiani fin
dal principio.
Questo atteggiamento finisce per compromettere soprattutto la qualità del climax e del finale, a
mio avviso eccessivamente tirato per le lunghe. Non mi dilungherò troppo per
evitare spoiler; ci tengo solo a ribadire che, secondo me, per evitare una
certa tiritera di azioni, reazioni e assurdi sproloqui interiori (incastrati in
un loop narrativo abbastanza avvilente), sarebbe bastato provare a concedere un
po’ più di spazio alla caratterizzazione del villain. Blind Micheal (contrariamente a quanto la McGuire sembri pensare) non
è un cattivo interessante. Nessun fiume di parole o arioso spiegone a
pagina 300 – per quanto brillante o ben congegnato – avrebbe potuto avere il
potere di ovviare a questo errore.
In ogni caso, sospetto che continuerò a consigliarvi questa serie a ogni piè sospinto, per cui tanto vale
che cominciate ad arrendervi! XD La McGuire è una delle pochissime autrici
disposte a scrivere urban fantasy (con protagonista femminile, nientemeno…) senza
sconfinare nel campo del campo del paranormal hormonal romance.
La
sua immaginazione brillante,
vividissima, le permette di evocare scenari meravigliosi; e il senso di aspettativa mozzafiato che
ciascuno dei suoi volumi sembra contribuire a fomentare non fa altro che
rafforzare la mia brama smodata di arrivare ai capitoli più recenti della saga. Scommetto che ne vedremo delle
belle! *___*
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