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“Li troviamo solo quando sono morti” è un fumetto scritto da Al Ewing e illustrato da Simone Di Meo.
Una space opera
visivamente sbalorditiva e intrisa d’azione,
che mescola abilmente una componente
epica a una più intimista, direi quasi da tragedia famigliare.
La premessa narrativa è intrigante quanto basta: nello
spazio, a intervalli irregolari, si materializzano i corpi titanici di misteriose creature
divine. Di loro si conosce poco e niente; anzi, in realtà, esiste un’unica
costante: al momento del loro ritrovamento, gli dei sono sempre morti.
Ad ogni modo, le varie parti di queste salme gigantesche hanno un valore pazzesco sul mercato, per cui
esiste una corporazione onnipotente
che tende ad accaparrarsi sempre gli organi migliori (cuore, occhi eccetera).
Il resto degli scarti viene lasciato alle navicelle
spaziali indipendenti, quelle manovrate da piccoli equipaggi, gente di solito
disperata e sull’orlo del tracollo.
Il capitano Georges
Malik, un uomo cupo e introverso, guida proprio uno di questi veicoli, la cosiddetta "nave-d’autopsia" Vihaan II.
Malik, a differenza di tutti i suoi colleghi, nutre un sogno visionario. Per quanto lo
riguarda, gli dei che galleggiano fra le stelle potrebbero custodire segreti
rivoluzionari, e lui è sempre stato attratto dagli insondabili misteri dell’universo.
Ma non è tutto: in realtà, Malik sta disperatamente cercando
di lasciarsi alle spalle un passato travagliato,
funestato da vecchi peccati forse ancora
da scontare. Così, quando decide di coinvolgere il suo equipaggio in una quest pericolosissima, alcuni dei suoi
compagni cominciano a sospettare che questa missione potrebbe celare un contorto
piano di fuga dalla realtà, forse
perfino un eclatante piano suicida…
Fra inseguimenti, acrobazie spettacolari e battaglie spaziali in stile “Star
Wars”, il primo volume di “Li
troviamo solo quando siamo morti” inizia quindi a narrare l’ambiziosa storia di un’ossessione, di una chimera
che sembra stagliarsi sempre appena un passo al di là dei limiti consentiti.
In un certo senso, Malik insegue i misteri della creazione
come il pistolero Roland Deschain insegue
la sua Torre Nera; la
caratterizzazione del capitano, oscura ma bilanciata, contribuisce a evocare
quel pizzico di empatia supplementare
che permette al lettore di parteggiare per lui, o quantomeno di immedesimarsi
nei suoi conflitti.
Ma perfino la villain
della storia riesce a riscuotere le nostre simpatie e ad aggiudicarsi il nostro
rispetto; e infatti non nego che buona parte della mia curiosità, in questa
prima fase della storia, si è concentrata sulle sfumature dello spinoso rapporto che sembra legare
protagonista e antagonista di “Li
troviamo solo quando sono morti”.
Le illustrazioni di
De Meo, belle da mozzare il fiato, rispecchiano il “sense of wonder” provato dai personaggi al cospetto delle infinite
(e terrificanti) meraviglie dell’universo. Le tavole dedicate ai giganti, in
particolare, contribuiscono a mettere in evidenza il contrasto fra l’immensa vastità dell’universo e la risibile
piccolezza di tutte le beghe umane
che li circondano: le minuscole navicelle si affollano attorno alle salme come formiche, pronte ad arraffare tutto
quello che possono, ma la verità è che alle stelle non importa nulla delle nostre guerre, delle nostre rivalità
e dei nostri fallimenti.
Non è difficile, allora, comprendere perché un personaggio tormentato come Malik si
senta così a suo agio ai comandi di una nave lanciata a folle velocità incontro
all’ignoto. Dopotutto, al cospetto
della natura, perfino il più straziante dei dolori comincia a trasformarsi in
un’inezia risibile, del tutto transitoria.
Insomma, se amate le “space
opera” dotate di un solido
world-building, le storie a fumetti corredate di uno spettacolare taglio cinematografico e titoli come “Saga”
o “Il Regno Invisibile”, “Li troviamo
solo quando solo morti” potrebbe essere l’opera giusta per voi!
Dopo quel finale, non ho la più pallida idea di dove Ewing e
De Mao vogliano andare a parare… ma la verità è che non vedo l’ora di
scoprirlo! ;D
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