“The Turning: La Casa del Male” è l’ennesimo adattamento del romanzo gotico di Henry James “Il
Giro di Vite”.
Suppongo che, dopo averlo visto, le malelingue abbiano
finalmente smesso di spargere veleno su quel capolavoro indiscusso chiamato “The Haunting of Bly Manor”, eh? *___*
Scherzo, scherzo... almeno, fino a un certo punto! :P
In realtà, “The Turning” ha ricevuto un quantitativo
allarmante di recensioni rabbiose e
indispettite, fatto che di per sé è riuscito a sorprendermi.
Cioè, non fraintendetemi: il film di Floria Sigismondi è abbastanza scialbo,
e il finale garantisce indubbiamente uno degli anticlimax più devastanti e idiotici che abbia mai visto.
Però non capisco da dove arrivi tutto questo accanimento nei suoi confronti. Chiaro che non puoi pretendere di paragonare “The Turning” a “Suspense” di Jack
Clayton, o alla bellissima serie tv di Mike
Flanagan (o meglio, puoi anche farlo, nella consapevolezza che sarà a tuo
rischio e pericolo…), ma alla fine le convincenti interpretazioni di Mackenzie Davis, Finn Wolfhard e Brooklynn
Prince contribuiscono a risollevare, in parte, le sorti di un canovaccio debole e ammantato
di anonimità.
In realtà, secondo me il problema principale di “The Turning” è proprio questo: è uno
degli adattamenti meno coraggiosi e
ispirati che abbia mai visto. La Sigismondi si limita a girare la prima metà come
se fosse il vostro classico filmetto horror di turno, con tanto di scale
cigolanti, effetti sonori roboanti e jump scares assortiti, salvo poi virare in una direzione che nessuno (a
parte, forse, gli estimatori del libro) avrebbe mai potuto prevedere.
Una scelta che stizzisce (questo non posso negarlo), anche
perché il colpo di scena sembra
terribilmente telefonato; un fiacco riferimento
alla magistrale ambiguità de “Il Giro di Vite” originale, nient’altro.
Una specie di doccia fredda, che ammazza la tensione nel
modo più cruento e in qualche modo destabilizza
lo spettatore, costringendolo a ripensare agli elementi interessanti di “The Turning” sotto una luce diversa,
infinitamente più critica e distaccata.
Perché il film della Sigismondi, secondo me, ha dei punti di forza di cui andare fiero (ad esempio, i due ragazzini, e
in modo particolare il rapporto
disturbante che viene a crearsi fra il piccolo
Miles e la nuova istitutrice Kate…);
semplicemente, non si tratta di aspetti che potrebbero interessare molto a un tipico
fan dell’horror, ivi compresa la sottoscritta.
Fra l’altro, non mi ha convinto particolarmente neanche il
tentativo di “modernizzare” l’ambientazione
del romanzo di James, perché la cornice
contemporanea, secondo me, non riesce in nessun modo a mascherare la natura
profondamente vittoriana della trama.
Chi è Kate, la ragazza bella, giovane e in salute che, di
punto in bianco, decide di mollare tutto e trasferirsi nella casa isolata
gestita da un branco di pazzi perché la sua ossessione è quella di riuscire
a fare la differenza? L’insegnante che accetta di sorbirsi interminabili
sermoni sulla superiorità di classe
da parte di una governante spettrale, e raccapriccianti
molestie da parte di un ragazzino rachitico che forse neanche cinquecento
pizze in faccia sarebbero capaci di raddrizzare?
Questo identikit corrisponde a quello di una donna dei
giorni nostri, secondo voi?
O al personaggio di una melodrammatica ghost-story ottocentesca?
Giudizio personale:
5.5/10
Questo è il tipo di film su cui non ho nessuna aspettativa, ma solo curiosità. Mi sa che mi conviene restare con questo stato d'animo XD
RispondiEliminaAhaha secondo me, è soprattutto il finale che rovina l'effetto d'insieme, Kate! Ma magari prova a buttargli un'occhiata, quando hai un attimo di tempo! ;D
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