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Anche se ho sentito parlare a più riprese de “La quattordicesima lettera”, “Le
tombe di Whitechapel” è stato il mio primo libro di Claire Evans.
Ad attrarmi è stata soprattutto la cornice vittoriana, dal momento che non avevo mai letto un thriller giudiziario ambientato nell’Inghilterra
di fine Ottocento. Chiaramente, anche il “vibe”
gotico del romanzo mi incuriosiva…
La lettura si è rivelata pienamente soddisfacente? Direi di sì, e scommetto che proverete la
stessa cosa anche voi quando la affronterete; soprattutto nel caso in cui vi
consideraste grandi fan di film come “From Hell”, o serie tv tipo “Peaky
Blinders” e “Daredevil”.
Il protagonista de “Le
tombe di Whitechapel” è un avvocato londinese di nome Cage Lackman; un uomo dannatamente imperfetto, che fa del suo meglio
per difendere i delinquenti locali da accuse e condanne per impiccagione,
spesso sfruttando quisquilie tecniche e cavilli legali allo scopo di ottenerne
il rilascio. Oppure – eventualità tutt’altro che rara – spingendosi addirittura
al punto di confezionare false prove e
ingaggiare attori disposti a giurare
il falso in tribunale.
Tutto, pur di tenersi buono Obediah Pincott, boss della mala di Whitechapel e riluttante “padrino”
di Cage, un uomo abituato a fare da galoppino ai potenti fin dalla più tenera
età. Grazie alla protezione di Pincott, infatti, Cage riesce a portare a casa
una serie di vittorie in aula dopo l’altra e a garantirsi il denaro sufficiente
a foraggiare i suoi vizi: vino e
prostitute, non necessariamente in quest’ordine. Un’inclinazione che gli
permette di tenere a bada il ricordo della relazione tormentata con l’unica
donna che abbia mai amato, una certa Emma,
e di domare i travagliati fantasmi scaturiti dal rapporto con sua madre, un’istrionica
attrice teatrale di nome Honor.
Pincott, però, è un personaggio imprevedibile, carismatico e
violento; una sorta di villain saltato fuori dalle pagine di un fumetto della
DC, o comunque vicino al Kingpin di
Vincent d’Onofrio nell’universo Marvel. Con una mano elargisce, con l’altra
toglie; e così, non appena insorge un problema con uno dei vecchi assistiti di
Cage, il boss si lascia prendere dall’ira e issa un ultimatum: se l’avvocato non riuscirà a trovare l’indiziato Moses Pickering prima della polizia, e
a dimostrarne in modo irrefutabile l’innocenza per la seconda volta, Lackman
uscirà definitivamente dalle sue grazie. Espressione emblematica che potrebbe
significare molte cose; perdere i propri privilegi di piccolo “legale
addomesticato”, ad esempio, potrebbe essere una di queste.
Ma anche ritrovarsi in fondo al Tamigi con un paio di buchi
nella pancia.
E così, Cage Lackman si lascia coinvolgere in una rete di
omicidi seriali, indagini al limite della legalità e depistaggi senza esclusione
di colpi…
Il protagonista de “Le
tombe di Whitechapel” è sicuramente uno dei più grandi punti di forza del romanzo. La caratterizzazione di Cage è quasi perfetta, e lo stesso vale per il
suo arco narrativo, appagante e
ricco di sorprese; Lackman, infatti, è quanto di più lontano possibile si possa
immaginare da un eroe: egocentrico, vanesio, debole e codardo, non si può
nemmeno dire definire un personaggio totalmente amorale… Anzi: l’impressione è
che Cage sappia in ogni momento da che parte si stagli la linea che divide il Bene dal Male. Semplicemente, sceglie di ignorarla, e tutto in nome di un presunto vantaggio personale!
Cionondimeno, si ritroverà a indossare i panni di riluttante
paladino della giustizia, o quantomeno
si impegnerà a difendere la ricerca della verità. Perché, stranamente, l’indiziato
Pickering continua a sembrargli veramente
innocente… E, alla fine, poco conta che la sua missione di salvataggio sia
iniziata semplicemente per riuscire a salvarsi stipendio e pellaccia. Perché l’avvocato
creato dalla Evans presenta tante di quelle sfumature, tanti di quelle zone di luce e ombra, da rendere
facilissimo al lettore il compito di immedesimarsi e provare empatia per lui.
Sebbene l’attenzione resti puntata soprattutto sulla componente psicologica (o magari
proprio per questo…), anche l’intrigo al centro della trama de “Le tombe di Whitechapel” si rivela
coinvolgente e decisamente difficile da sbrogliare in anticipo! La Evans,
infatti, tira fuori dal cilindro un’abnorme quantità di false piste e sottotrame,
la maggior parte decisamente interessante. Tutto il possibile per sviare il lettore, quindi, e tenerlo
avvinto alle sue pagine il più lungo possibile.
Le tematiche affrontate sono più o meno quelle che vi
potreste aspettare leggendo la sinossi ufficiale (corruzione, degrado, pregiudizio e riscatto), ma l’autrice riesce a
sviscerarle a dovere e a presentarne nuovi aspetti malgrado il ritmo veloce e
le pagine infarcite di dialoghi in scansione diretta.
Come se non bastasse, sono riuscita a innamorarmi di almeno un
paio di personaggi secondari; la prima è Agnes,
prostituta dall’indole-gentile-ma-non-troppo (altrimenti, sarebbe stato uno
stereotipo...); il secondo rimane segreto per evitare spoiler! XD
Alla resa dei conti, a non avermi convinto al 100% sono state soltanto due cose:
a) Il finale. Non per via del contenuto (l’ho trovato perfetto, dal punto di vista della struttura), quanto per la sbrigativa frenesia degli ultimi capitoli (anche se, in fase di climax, ci sta che si verifichi “un’impennata” ritmica…);
b) La sensibilità quasi moderna dei personaggi, che in molte circostanze agiscano e si relazionano gli uni agli altri in maniera non troppo dissimile da come farebbero molti contemporanei.
Nessuna di queste osservazioni rappresenta un vero e proprio
“difetto”, badate. Sono semplicemente due cose che ho avuto modo di notare durante la
lettura, e che dunque scelgo di condividere con voi! :)
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