“Black Water Sister” è il nuovo urban fantasy di Zen Cho, già autrice della duologia “Sorcerer to the Crown + “The True Queen”, nonché del notevole romanzo wuxia “The Order of the Pure Moon Reflected inWater”.
“Black Water Sister”
vanta una variopinta ambientazione asiatico-contemporanea
e un nucleo di tematiche altamente
significative; è un libro divertente, eccentrico e colorato, che giustappone la
sensibilità e il materialismo (tutto
occidentale) di una protagonista nata e cresciuta negli USA, al folclore e allo
spiritualismo malesiano.
Un fantasy singolare e potenzialmente irresistibile, che a
tratti ricorda “The Ghost Bride” di Yangsze Choo; purtroppo, la trama sconnessa e i personaggi da light novel tendono a
guastare l’effetto di insieme, rendendo l’esperienza di lettura gradevole,
forse addirittura pittoresca, ma tutt’altro che indimenticabile...
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La trama
Jessamyn Teoh si
è sempre considerata americana; eppure, quando suo padre perde il lavoro a
seguito di una grave malattia, viene costretta a tornare in Malesia assieme al
resto della sua famiglia.
Jess non ha mai vissuto in Malesia, neanche per un giorno.
Non conosce quasi nulla delle tradizioni
locali, e meno ancora di quelle relative al suo stesso albero genealogico.
Così, quando comincia a sentire una voce che le parla all’orecchio, attribuisce
la cosa allo stress e si mette subito alla ricerca di un terapeuta.
Dopotutto, è una laureata di Harvard senza uno straccio di
prospettiva, esiliata in una terra “straniera” a un paio di pianeti di distanza
dalla sua ragazza, dai suoi amici, dal mondo che conosceva.
Chi è che non ne uscirebbe con i nervi un tantino logorati?
Tutto cambia, quando lo
spirito con cui è entrata in comunicazione si rivela appartenere ad Ah Ma, la nonna materna che non ha mai veramente conosciuto. In vita, Ah Ma
era una potentissima medium,
l’avatar di una misteriosa divinità
chiamata “Black Water Sister”.
Adesso, Ah Ma è più che mai determinata a pareggiare i conti
con il boss della malavita locale,
colpevole di aver arrecato un’offesa mortale alla sua dea – e, per qualche
ragione, pare proprio che non possa riuscirci senza l’aiuto di Jess!
Attirata in un mondo di fantasmi, divinità e oscuri segreti
di famiglia, Jess scoprirà che stringere accordi con uno spirito capriccioso
potrebbe rivelarsi più pericoloso del previsto. Anche perché la “Black Water
Sister” di cui parla Ah Ma è molto, molto arrabbiata... e, se Jess dovesse
fallire, la sua prossima vittima
potrebbe essere qualcuno che le è molto caro.
Genitori, zii, cugini e tanti guai!
Ci tengo a precisare che “Black Water Sister” è un libro che la stragrande maggioranza del
pubblico (e della critica) ha amato profondamente.
Per me non è stato così, ma la verità è che non so quanto di
tutto questo sia da attribuire alla mia scarsa capacità di relazionarmi a quello che è l’effettivo tema portante
di quest’opera: vale a dire la famiglia,
nel senso più biologico ed esteso del termine.
In realtà, l’opera di Zen Cho affronta molti argomenti
interessanti; quello dell’immigrazione
è decisamente quello che mi ha colpito di più, dal momento che lo smarrimento
di Jess, la sua dolorosa mancanza di una specifica identità culturale in cui
riconoscersi, viene rappresentata dall’autrice con passione e un’ encomiabile
dose di approfondimento psicologico.
Ma è un fatto che i riflettori restino puntati soprattutto
sui rapporti famigliari. Tutta la
vita di Jess in Malesia, in un certo senso, ruota attorno a questo enorme,
chiassoso, “simpatico” serraglio di zii, cugini, parenti di terzo grado e
ficcanaso vari ed eventuali.
Ora... I personaggi della madre, del padre e della nonna
sono stupendi, non mi fraintendete. Ma il resto della banda?
Sarò sincera con voi: riferimenti alle varie esperienze LGBT a parte, per me non è
stato sempre facile riuscire a stabilire un punto di connessione con la protagonista;
trovare un modo per immedesimarmi nei suoi problemi, nei suoi dilemmi morali e nella sua visione della
vita.
Parte del problema ha sicuramente a che fare con una
questione di “gap” culturale. Dopotutto,
come l’autrice si prende la briga di ricordarci, molte famiglie asiatiche
allevano i propri figli in base a valori completamente diversi da quelli
occidentali.
C’è anche da dire che il significato che attribuisco io alla
parola “famiglia” ha poco a che fare con il DNA, e molto più a che vedere con
la gente che effettivamente si prende cura di me e mi protegge le spalle. Ma,
forse, questa modalità di pensiero è un lusso che posso concedermi soltanto perché non ho avuto la
sfortuna di crescere in una terra diversa da quella dei miei antenati; dopotutto, nessuno ha mai cercato di sradicare me dalle mie radici. Posso scegliere di allontanarmene; posso crogiolarmi nella consapevolezza che saranno sempre lì: per ritrovarle mi basterebbe allungare una mano.
Perfino così, sarà sincera: ho trovato difficile comprendere
i motivi che spingono Jess a vivere in preda al terrore costante di deludere questo clan di parenti che, a ben vedere, non sono altro che sconosciuti
che per caso portano il suo stesso cognome; gente che si prende la briga di
giudicare ogni sua azione e di pianificare la sua vita in ogni insignificante
dettaglio, ma mai – il cielo ce ne scampi – di conoscerla per ciò che Jess realmente
è.
Jess, dal canto suo, reagisce a tutte queste interferenze
mostrando soltanto passività,
pavidità e una vaga predisposizione al martirio... una serie di circostanze
che, lo ammetto candidamente, purtroppo non mi hanno reso particolarmente
bendisposta nei confronti del resto della sua storia.
Un arco spezzato
Dal punto di vista della trama vera e propria, trovo che “Black Water Sister” risenta di una grave mancanza di struttura.
Questo difetto, secondo me, va attribuito soprattutto all’arco narrativo della protagonista,
che non arriva mai a svilupparsi in modo soddisfacente. La trasformazione di
Jess, alla fine del libro, mi è parsa tutt’altro che convincente; una specie di
parabola “a singhiozzi”, che si evolve a forza di scenari pittoreschi e
incontri con personaggi sui generis, piuttosto che per mezzo di lezioni apprese
e prove superate.
Oltretutto, non ho apprezzato particolarmente neanche la
tendenza dell’autrice a ricorrere alla costante
minaccia di violenza sessuale come espediente narrativo. Perché, detto fra
voi e me, questo sarà anche uno stratagemma dolorosamente credibile... ma, nell’ambito di un libro a sfondo sovrannaturale, in realtà si traduce anche in un cliché
pigro, la prima freccia nell’arco di un autore che non conosce il mondo che ha
creato e che si rifiuta di fare i compiti a casa.
L’ambientazione,
viceversa, è un elemento in cui “Black
Water Sister” senz’altro eccelle. La Malesia dipinta da Zen Cho non mi è
mai sembrata così vivida, problematica e
interessante. Le sue descrizioni mi sono entrate sotto la pelle come le
schegge di una cornice; un dipinto quadrimensionale, che è riuscito ad
avvolgermi nelle sue luci, nei suoi profumi e nelle sue seducenti percezioni
sensoriali.
Mentirei, se vi dicessi di non essermi aspettata un qualcosa
di più. Ma suppongo che trarrò consolazione dal fatto di essermi imbattuta in
una delusione parziale, e non
integrale al 100%! XD
C'erano delle premesse davvero interessanti, peccato per lo sviluppo :/
RispondiEliminaSì, è davvero un peccato! :(
EliminaIn realtà, non lo considero un brutto libro, tutt'altro... ma, secondo me, ha dei difetti in grado di renderlo poco appetitoso agli occhi di una larga fetta di pubblico, me compresa XD