“Baby” è un film horror del 2020 diretto dal regista spagnolo Juanma Bajo Ulloa.
Una pellicola a metà strada fra fiaba dark e tesissimo thriller
psicologico che, contro ogni aspettativa, è riuscita a tenermi con il fiato sospeso a per la bellezza di un’ora
e quarantacinque minuti...
Potete vederlo QUI
Trama
Una giovane donna,
afflitta dal peso di una tossicodipendenza
sempre più invalidante, dà alla luce un neonato
nella più completa solitudine del suo appartamento.
All’inizio cerca di allevarlo come può; ma quando diventa
chiaro che il suo stile di vita mal
si adatta alle esigenze di un
bambino (per usare un eufemismo...) decide di sbarazzarsene.
Dal momento che il denaro per comprare la droga è finito da
un pezzo, la ragazza pensa bene di cogliere due piccioni con una fava e di vendere
il tenero frugoletto a una losca trafficante
di bambini.
L’accordo va a buon fine, almeno apparentemente.
Ma poi la donna si
pente della sua azione avventata, e si reca presso l’abitazione della sua
acquirente per scoprire il fato del figlio appena nato.
A quel punto, però, scopre che la trafficante ha un cuore più nero di quanto dovrebbe essere
umanamente concepibile, e cerca di compiere l’impossibile per salvare il neonato.
La Madre e la Strega
“Baby” è uno dei film horror più suggestivi e peculiari che
abbia mai visto.
Parte della sua originalità è dovuta all’assenza totale di dialoghi:
l’opera di Juanma Bajo Ulloa, infatti, vanta una colonna sonora incredibilmente evocativa (nonché coinvolgente, soprattutto dal punto di
vista emotivo), ma, per l’intera durata della pellicola, i suoi personaggi non
pronunciano neanche una battuta.
All’inizio, credevo che questa caratteristica mi avrebbe
spinto a interrompere la visione dopo dieci minuti. Amo il cinema, soprattutto
quello di genere, ma tendo a considerarmi una
lettrice sopra ogni altra cosa: per me, l’uso della parola è sacro, e di
solito sono una grande sostenitrice del motto “dialoghi all’altezza = mezza
bellezza”.
Invece la sceneggiatura
di “Baby” mi ha sorpreso,
regalandomi palpitazioni e brividi in abbondanza.
Forse perché, per forza di cose, la recitazione procede fra un parossismo
espressivo e l’altro, come in un vero e proprio spettacolo da grand guignol a base di occhi sbarrati,
sogghigni malvagi e denti digrignati.
Questa continua, inquietante esasperazione dei tratti più grotteschi di ogni personaggio fa sì
che il film si trasformi presto in una fiaba
surreale, spaventosa e nerissima, trascendendo la realtà della situazione
per irrompere, a poco a poco, nello sfumato regno del mito e del folclore.
Ad esempio, la trafficante di bambini (interpretata da una
spettacolare Harriet Sansom Harris) diventa
la Strega per antonomasia; la
divoratrice di bambini, una figura malevola e sorniona, pronta ad attirare gli
innocenti nella sua isolata casetta di marzapane....
La danza dei sopravvissuti
Il contrasto fra
la squallida quotidianità della madre protagonista e la natura atavica, quasi mistica, del grande Male
che incombe sul suo bambino viene enfatizzato da una serie di splendide inquadrature relative al mondo naturale.
Brevi intermezzi che mostrano cervi, topi e ragni tessitori intenti a lottare per sopravvivere in un mondo che si ostina a porre ai suoi
abitanti sempre la stessa domanda: «Chi
sei, tu? Il cacciatore o la preda?».
Che poi è lo stesso interrogativo al quale anche la
protagonista di “Baby” verrà chiamata
a rispondere, durante la sua disperata ricerca di una via di fuga dalla tana della trafficante di bambini. E devo dire
che questa parte del film non è affatto malvagia: a prescindere dal simbolismo, Juanma Bajo Ulloa riesce a
infondere nello spettatore un senso di suspense
e timore non indifferente.
Altro particolare
degno di nota, “Baby” è una pellicola
che può vantare un cast interamente al femminile.
La protagonista è interpretata dall’attrice britannica Rosie Day (già intravista nell’horror “Il Convento – Heretiks”, sempre disponibile sul canale Midnight Factory...), ma non credo che si possa concepire l’idea di scrivere una recensione di “Baby” senza citare la giovanissima Mafalda Carbonell.
Il suo personaggio, totalmente fuori di testa, rappresenta
una vera e propria “scheggia impazzita”.
Né alleata, né nemica della protagonista (come si premura di
confermarci lo stesso regista in questa interessante intervista), l’apprendista della trafficante di neonati arriva a incarnare l’emblema stesso dell’imprevedibilità, dell’amoralità e della sfrenata immaginazione dei bambini.
Un altro archetipo, quindi, se vogliamo; quello della “fata” giocherellona
e completamente priva di malizia, che potrebbe sacrificarsi per te il mercoledì,
conficcarti un coltello nel cuore il giovedì, dimenticarti per tutto il fine
settimane e poi cercare di evocare un demone per riportarti in vita il lunedì mattina.
Purché non ci sia mai da annoiarsi, insomma...
Sembra davvero molto bello 😲
RispondiEliminaConfesso che mi ha davvero sorpreso! *___*
EliminaMi aspettavo di "cambiare film" dopo dieci minuti, e invece...! XD