“Come Away: Alice e Peter” è un retelling “misto”, nel senso che combina elementi tratti da “Peter
Pan” di James Berry con altri ispirati a “Alice nel Paese delle Meraviglie”
di Lewis Carroll.
Brenda Chapman,
già regista del capolavoro d’animazione “Ribelle: The Brave”, firma un film
per famiglie e incentrato sulla famiglia, affidando per lo più i suoi sforzi
alle gradevoli interpretazioni di un cast di tutto rispetto: Angelina Jolie, Gugu Mbatha-Raw, David
Oyelowo e Micheal Caine (alle
prese con un piccolo cameo di cui nessuno ha compreso bene il significato).
Purtroppo, il risultato è un film di qualità abbastanza infima (mi si perdoni l’onestà spassionata),
supportato da una sceneggiatura
delirante e da un groviglio di buoni
sentimenti che, a ben guardare, non riescono a emozionare lo spettatore
neanche nei momenti di massima tensione.
In “Come Away”, i
piccoli Peter (Jordan A. Nash) e
Alice (Keira Chansa) lottano per
mettere insieme i pezzi di una famigliola un tempo splendida, oggi alla deriva.
I loro sforzi, per quanto lodevoli, non riescono mai a innescare una
concatenazione di eventi abbastanza coinvolgenti o interessanti da giustificare
il tempo speso per la visione. Forse perché, piuttosto che concentrarsi sulla
caratterizzazione dei suoi personaggi o sullo sviluppo di un arco narrativo
coerente, la sceneggiatrice Marissa Kate
Goodhill preferisce buttare dentro al suo impasto un po’ di questo e un po’
di quello, e ingegnarsi a spalmare una zuccherosa
patina di piacevolezza sui suoi protagonisti.
Oltretutto, non credo che la parte “fantasy” del film abbia un autentico valore; si potrebbe svestire “Come Away” di tutte le sue pretese fiabesche, eliminare ogni
(imbarazzante) riferimento al Cappellaio,
alla Regina di Cuori e a Capitan Uncino, e il film non
perderebbe una singola oncia del proprio significato. Anzi, probabilmente
togliere dal quadro queste figure avrebbe permesso alla Chapman di confezionare
una pellicola molto più coerente ed efficace.
Anche perché è chiaro che la Alice del suo film non ha
assolutamente nulla a che vedere con quella che tutti noi amiamo e conosciamo,
e lo stesso vale per il suo Peter Pan. Due
bambini adorabili, certo, ma anche terribilmente
generici, artefatti e lontanissimi da quell’ideale di infantile meraviglia a cui il film cerca disperatamente di fare
appello.
Tutte le musichette
suggestive di questo mondo, infatti, non riescono a nascondere la fragilità della visione della Goodhill, né aiutano le assurde tirate fuori campo sul fatto che il
peggior terrore di ogni bambino sia quello “di poter perdere, crescendo, i
propri sogni e la propria sconfinata capacità di immaginazione e bla, bla, bla,
mi sto annoiando soltanto a scriverlo” (che poi, ma quando mai? Questa è la paura di una persona adulta, che guardandosi alle spalle si rende conto di
aver perduto ogni contatto con la propria parte creativa e decide di mettersi a
vagheggiare a proposito dell’infanzia in toni nostalgici e stereotipati).
Un progetto simpatico sulla carta, quindi, questo “Come Away”, ma lontano anni luce da
qualsiasi pellicola in grado di suscitare un’autentica
emozione in uno spettatore, per giovane o navigato che sia.
Il finale è stata una delle cose più cringe e deludenti che io abbia mai visto, e oltretutto non sono neanche sicura di averlo capito del tutto (in mia difesa, credo che lo stesso valga per la Chapman). Credo che lo sostituirò, nella mia mente, con la mia teoria personale a proposito di quello che potrebbe essere accaduto veramente quell’estate alla famiglia Littleton (per me, in realtà Peter è un pazzo schizofrenico che ha causato un evento tragico e poi ha continuato a sognare il resto del film dalla sua cella imbottita, un po’ sulla falsariga di “Alice: Madness Return” XD).
Per il
resto, mi limiterò ad aspettare l’uscita del “Peter & Wendy”
disneyano!
Questo è uno di quei casi dove rimane la voglia di guardare il film, nonostante la recensione meno che stellare XD
RispondiEliminaMa è giustissimo, Kate, così ti fai un'idea tua! :D
EliminaSpero che ti piacerà di più! <3