Fan delle serie TV
intriganti e misteriose, a me...
Qualche settimana fa, è sbarcato su Netflix "Katla",
enigmatico telefilm a sfondo sovrannaturale (forse...) ambientato alle pendici
di un vulcano nel Sud dell'Islanda.
Il Katla, che sorge al di sotto del noto ghiacciaio Mýrdalsjökull, gode effettivamente di una certa fama, soprattutto a
causa della sua grandezza e delle sue storiche eruzioni.
Nella serie tv ideata da Baltasar Kormákur, si ipotizza uno scenario da incubo: il vulcano
continua a vomitare cenere e fumo da
oltre un anno, e il paesino che sorge nei paraggi è stato avvolto da una cappa
di fuliggine che annerisce e rende irriconoscibile qualsiasi tratto del
paesaggio!
La maggior parte degli abitanti ha deciso di trasferirsi a Reykjavík, la città oltre il fiume, a
titolo cautelativo; ma c'è anche chi non se la sente di abbandonare la sua
casa, anche perché magari ha ancora dei conti
in sospeso con il proprio passato.
È il caso di Grima,
trentenne depressa ancora in attesa del ritorno dell'adorata sorella Asa, scomparsa un anno prima. Ma anche
di suo padre Thor (il personaggio
più odioso in assoluto...), in tarda età ancora ossessionato dal ricordo della
sua amante perduta. O del poliziotto Gimli,
che accudisce una moglie ammalata e prega il suo dio ogni giorno, nella
speranza di ricevere un segnale dal cielo che non si decide ad arrivare...
Nel pieno di questa atmosfera densa e grigia, in stile Purgatorio, si consuma un'attesa
straziante e piena di tensione; ma attesa di che cosa?
Salvezza, condanna… redenzione?
Nessuno di loro sembra saperlo.
Almeno fino a quando, dalle
viscere del vulcano, non cominciano a emergere strane persone ricoperte di cenere, sinistro presagio di un grande
cambiamento in arrivo...
Sotto parecchi punti di vista, trovo che “Katla” sia una
serie tv estremamente affascinante. Il vanto più grande è senza dubbio la fotografia, che riesce a catturare in
maniera divina le potenti turbolenze “elementali” che contraddistinguono l’ambientazione:
l’interminabile giro di valzer fra ghiaccio
e fuoco, per usare una metafora di stampo martiniano, ma anche la potenza primordiale dell’oceano e la sferzata gelida della bufera; la
colonna di cenere scura che trapassa le nuvole e l’immensità sterminata di un
cielo bianco, algido, infinito – una volta che intrappola, abbaglia e insieme
scherma i più violenti sentimenti dei personaggi.
Malgrado il ritmo
lento (o, forse, proprio per questo..) degli episodi, ho apprezzato il primo atto della trama, la complessità di molti protagonisti e
quel sottile senso di inquietudine
montante, la certezza inconfutabile di una grande fonte di travaglio in
agguato.
Peraltro, Kormákur e la sua squadra riescono a giocare bene con
il folclore e gli elementi mitologici, mettendo in scena
un ipnotico spettacolo di luci e ombre, una sorta di “portale su un altro
mondo” che si sposa benissimo con le tematiche
intimiste affrontate dalla trama, nonché con il mio personale modo di
vedere il mondo (un po’ a metà strada fra spiritualismo e scienza, diciamo).
Quello che ho mi è piaciuto meno – e qui mi viene spontaneo
tracciare un parallelo con la
recente serie tv danese “Equinox” – è stato il modo in cui
gli sceneggiatori hanno deciso di sciogliere
la matassa (vale a dire, senza sciogliere un bel niente…), e il fatto che
il momento del climax si riveli deludente e molto al di sotto delle aspettative.
Anche se, forse, il vero, unico elemento stonato di “Katla”
ha a che fare con la (non) capacità di reazione di molti
personaggi, a partire dalla stessa Grima. In una certa misura, parte delle loro
decisioni strampalate e “inebetite” possono essere ricondotte all’atmosfera
onirica e surreale che permea il loro villaggio, certo; come se sull’intero
paese aleggiasse un incantesimo, una magia
dell’attesa che intorpidisce i loro pensieri e li rende in qualche modo
simili ai protagonisti di un sogno.
Ma solo fino a un
certo punto.
Nel senso che, a partire dal terzo episodio o giù di lì, Grima e gli altri prendono a
comportarsi come assurdi spaventapasseri e a trascinarsi di qua e di là, senza
darsi minimamente da fare per trascinare la storia in avanti. Tutta questa passività, ovviamente, non fa
bene alla trama, che finisce inevitabilmente per ristagnare; né giova al legame
empatico con il pubblico, che si ritroverà inevitabilmente a rigettare il
90% degli eventi messi in scena (vedi il finale dell’episodio “Da un altro sistema solare”).
Un peccato, perché il potenziale
di questa serie, secondo me, aveva una portata stratosferica. La consiglio in
ogni caso, ma con riserva: “Katla” si
staglia almeno duecentomila gradini sopra ridicole sceneggiate alla “Curon”, per capirci; eppure, nella sua
parte finale, non riesce neanche a esimersi dal ricadere in determinati tranelli e banalità tipici di taluni
recenti prodotti targati Netflix.
Giudizio personale:
7.0/10
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