L’autore esordiente Richard Swan firma il romanzo fantasy grimdark “The Justice of Kings”, primo volume della trilogia “Empire of the Wolf”.
Un libro dalla trama
piuttosto convoluta e interessante,
che tuttavia non si rivela minimamente
sufficiente a compensare la somma dei suoi (pantagruelici) difetti: uno stile asettico e pasticciato, un world-building inconsistente, personaggi clonati, una narratrice odiosa e un paternalismo di fondo che farebbe
cadere le braccia persino a un personaggio maschile inventato da Brandon
Sanderson...
Empire of the Wolf, Vol. 1
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La trama
Sir Konrad Vonvalt
incarna la Giustizia dell’Imperatore;
in qualità di rappresentante della legge, ha sempre potuto contare su una
verità inconfutabile: la sua parola è sacra.
L’uomo viaggia attraverso le zone più remote e selvagge dell’Impero,
con il compito di assicurarsi che la
legge venga rispettata, a qualsiasi costo e, soprattutto, attraverso
qualunque mezzo necessario: che si tratti della sua spada, degli arcani segreti
tramandati dal suo Ordine, o dalla sua enciclopedica conoscenza dei codici civili e penali che sostengono l’Impero.
Ma poi un passante riviene il corpo di una nobildonna sulla sponda di un fiume, e Vonvalt viene
chiamato a investigare.
Per la prima volta dall’inizio del suo incarico, si ritrova
quindi ad affrontare un caso complesso e la possibilità di una cospirazione in grado di sfidare apertamente la sua autorità, fino
a quel momento considerata inviolabile.
Perché, dietro l’omicidio della donna, potrebbe nascondersi un piano criminale in grado di
scatenare un’ondata di violenza senza
precedenti attraverso l’Impero...
Un giallo dalle sfumature... grimdark?
Spezziamo subito una lancia in favore di “A Justice of Kings”, e diciamo le cose
come stanno: i primi capitoli del
libro sono molto originali e promettenti, e lasciano sicuramente intravedere
del potenziale per molte avventure future.
Il romanzo di Richard Swan, infatti, comincia come una sorta di stuzzicante “giallo” alla Agatha Christie in un contesto fantasy, fra indizi da raccogliere, piste da seguire e testimoni da interrogare.
Una premessa che mi aveva riempito di entusiasmo: nelle giuste circostanze, l’assoluta novità della formula avrebbe potuto
addirittura dare i natali al precursore
di un sottogenere completamente nuovo, ragazzi!
Un’idea supportata, peraltro, anche dalla peculiare scelta del narratore intrapresa da Swan:
in “A Justice of Kings”, infatti, gli
eventi vengono narrati in prima persona,
ma non dal punto di vista del protagonista... a fornire un resoconto dei fatti
provvede, piuttosto, una giovane donna che svolge le funzioni di assistente e collaboratrice personale,
un’orfana di guerra chiamata Helena
Sedanka.
Se proviamo a pensare a uno dei più famosi esempi di narratore allodiegetico della storia
della narrativa... bè, scommettiamo che “Sherlock
e Watson” saranno fra le primissime parole che vi balzeranno in mente?
Purtroppo, tutto l’appeal della premessa tende a sgretolarsi dopo un centinaio di
pagine, o giù di lì; vale a dire nel momento preciso in cui Swan decide di fare dietrofront e trasformare il suo romanzo
in una fotocopia sbiadita di “The Witcher”.
Una cambio direzione che, secondo me, serve soltanto a scagliare
la sua opera nell’abisso della
mediocrità.
Tanto più che né i suoi personaggi (piattissimi e irritanti,
quanto non apertamente odiosi...); né il world-building darkettone (evidentemente
ispirato a videogiochi in stile Skyrim
e Dragon Age) riescono a tenere viva
l’attenzione del lettore per più di tre o quattro paragrafi di fila.
Helena Sedanka e il mondo degli stereotipi di genere
Se qualcuno provasse innestare una parte del patrimonio
genetico del dottor House nel corpo
di un clone di Geralt di Rivia,
probabilmente otterremmo un personaggio molto simile a Vonvalt.
Oddio, in realtà, per portare a casa il risultato, dovremmo
prima assicurarci di sottrarre tutto l’acume, l’umanità e il sarcasmo del
personaggio interpretato da Hugh Laurie, e sostituirli con un carico di ombrosità, demenza e gigioneria
completamente ingiustificati (ecco: mi sa che queste tre qualità, il nostro
ipotetico “doppleganger” potrebbe tranquillamente ereditarle dal suo altro “genitore!
XD)
Helena, dal canto
suo, è un personaggio anche peggiore.
Trascorrere del tempo “intrappolati” dentro la sua testa si è rivelato
frustrante e, francamente, anche "un tantino” offensivo.
A parte il fatto che “The
Justice of Kings” non passerebbe un semplice Test di Bechdel neanche in un milione di anni, il problema è proprio che questa
cosiddetta “eroina” di Swan riesce a incarnare ogni singolo stereotipo femminile mai concepito.
Irrazionale, bisbetica, gelosa, isterica, lagnosa... Ed ecco
che, guarda caso, i personaggi maschili si trovano continuatamente costretti a stomacare le evidenti lacune di Helena
in preda alla virtuosa compostezza e alla granitica condiscendenza di un vero proprio
fondatore del patriarcato!
Nel sequel, mi aspetto di imbattermi come minimo in un paio di
“simpatiche” battute sul suo ciclo mestruale e sulla sua assoluta
incompatibilità di carattere con qualsiasi altra donna mai nata sotto il sole.
Come se non bastasse, Swan insiste ad appiccicare addosso
alla sua Helena una storyline romantica
melodrammaticissima e sconclusionata, peraltro con un soldatino che è
praticamente un manichino, uno scaldaletto senza faccia che il protagonista andrà,
senz’ombra di dubbio, a sostituire nel corso dei prossimi volumi.
Anche se Vonvalt è, al tempo stesso, una sorta di figura
paterna per Helena; anche se è il suo datore di lavoro, il suo benefattore e,
in definitiva, l’unica cosa che la separa da un futuro a base di fame, stenti e violenza.
Mmm...
Non so voi, ma se fossi in Richard Swan, io una quindicina
di minuti a studiare il significato, le implicazioni e le conseguenze del movimento #MeToo, magari li dedicherei anche.
Così... a titolo di ricerca “preventiva”, diciamo! XD
Stoccata finale
Dal canto suo, la tematica che il romanzo si propone di
eviscerare – il rapporto fra Stato e
Chiesa; l’immortale contrapposizione fra diritto canonico ed ecclesiastico – mi è sembrata abbastanza solida
e interessante.
Il parallelismo fra la storia del mondo fittizio inventato
da Swan e quella dell’Impero Romano
ha suscitato la mia curiosità; anche se non saprei dirvi fino a che punto, dal
momento che anche questo punto di forza viene continuamente messo in ombra da
una narrazione acerba e traboccante
di infodump, foreshadowing, deus ex
machina e chi più ne ha, più ne metta.
In definitiva, la mia opinione generale (non richiesta)
tende a vertere su un semplice punto: se Swan intende continuare a lavorare (e,
soprattutto, prosperare...) nel campo della fiction, magari farebbe anche bene
ad ampliare le sue conoscenze e a imparare a padroneggiare le più basilari
tecniche dell’arte della storytelling: show, don’t tell; colpi di scena;
tropes; eccetera, eccetera.
E leggere qualche libro
fantasy in più, magari.
Perché non dubito che potrebbe trasformarsi in un eccellente
scrittore di saggistica, un giorno.
Un brillante autore di testi a sfondo legale, o di qualsiasi
altro argomento gli salti in mente di appassionarsi.
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