martedì 25 marzo 2014

Luce

Buon pomeriggio, amici! ^^

Quello che vado a proporvi oggi è un post "leggermente" diverso dal solito XD... 
Ho infatti deciso di riportare qui un mio racconto, abbastanza recente (credo risalga alla seconda metà del 2013, per la precisione), chiamato "Luce".
Si tratta di una storia breve - anzi, no: brevissima! - incentrata sul tema della licantropia, un argomento che, come alcuni di voi certamente sapranno, mi ha sempre intrigato...
Se vi avanzano dieci minuti, e voleste essere così infinitamente gentili da dare un'occhiata al raccontino e farmi sapere cosa ne pensate, vi guadagnereste la mia eterna gratitudine, statene pur certi! :D






Luce

Maybe there's a devil
(or something like it)
inside of me.”
Utada Hikaru – Devi Inside


Giulia e Mia stanno cantano a squarciagola “Marry the night” insieme a Lady Gaga, quando la vediamo venire verso di noi.
“Gesù Cristo”, esclama Carlo, ridacchiando. Gira il volante e si tira giù i ray-ban sul dosso del naso. La Mercedes di suo padre si ferma rombando su un lato della strada, mentre sulle sue labbra si forma un sorriso. “Non è quella svitata di Luce d'Ambrosia, quella laggiù?”
Mi sporgo sul bordo del sedile posteriore e abbraccio lo schienale di quello davanti.
“Eh sì, cazzo. E' proprio lei!”, conferma Mia.
“Che si è messa, una crine di cavallo intorno alle spalle?”, chiede Giulia. Mia raglia una risata.
“Raglia” è la parola che più si avvicina a descrivere qualsiasi suono proveniente dalla gola della mia amica bruna, del resto.
“E una corona di rape intorno al collo”, aggiunge, liberando uno sbuffo liquido dalle narici intasate.
Luce continua a camminare al centro della strada, inconsapevole delle nostre occhiate beffarde e delle frecciate maligne.
Non che farebbe differenza per lei, in ogni caso.
Il sole tinge i suoi capelli d'oro. Le ricadono selvaggi lungo le spalle, una matassa di grano filigranato che ondeggia a tempo con il suo passo deciso.
A scuola è tradizione, persino fra le matricole del primo anno, prendere in giro Luce proprio a causa di questa sua camminata baldanzosa.
A onor del vero è tradizione prendere in giro Luce praticamente per qualsiasi cosa: dal suo stile semplice e sciatto, agli stivaloni dell'esercito della salvezza che sua madre avrà ripescato da chissà dove; dal suo cipiglio ai pantaloni mimetici che indossa un giorno sì e l'altro pure; dalle sottili cicatrici bianche che le solcano gli avambracci all'ultima sparata di quell'ubriacone di suo padre, uno pseudo-predicatore da strapazzo che non fa che cianciare del Giudizio Universale e di come tutti noi peccatori infedeli, alla fine, soffocheremo annegati nel nostro sangue, strizzati nel pugno di ferro del suo amorevole Dio.
Non ho mai visto Luce reagire a una di queste provocazioni. Non credo che sia mai successo, ne avrei sentito parlare. Le voci circolano in fretta, rimbalzando lungo i corridoi del nostro liceo.
Una volta, d'inverno, alcuni studenti di un'altra scuola - un istituto superiore dalla pessima fama, in cui solo i casi irrecuperabili venivano mandati a “studiare” (un grazioso eufemismo che stava a significare: tenerli occupati, in modo che stessero il più a lungo possibile fuori dai piedi e non rompessero troppo le scatole alla brava gente del paese) nascosero delle pietre dentro una manciata di neve e cominciarono a bersagliare le spalle di Luce. Non so cosa si aspettassero di ottenere.
Lei, in ogni caso, non fece una piega.
Avete presente quando genitori e insegnanti vi dicono che basta ignorare i bulli, non dar loro peso, rifiutarsi di fare il loro gioco?
Sono tutte stronzate.
I bulli sono dei vigliacchi e dei predatori, e, proprio come tutte le iene della Terra, non agiscono mai se non sono assolutamente sicuri di avere le spalle coperte, un piccolo branco di spazzini e mangiacarogne a supportarli.
Non hanno bisogno di alcuna collaborazione da parte della vittima.
E' il loro stesso pubblico a eccitarli, a incoraggiare ulteriori angherie.
Ovviamente, il fatto che Luce riesca sempre a mantenersi così fottutamente, innaturalmente impassibile, non fa altro che far salire il sangue alla testa di tutti ancora più in fretta. Quella sua espressione bianca e neutrale, lo sguardo glaciale, scatenano l'ilarità dei ragazzi e sguinzagliano la malvagità delle ragazze.
In quanto a me, sono disgustata dalla sua arrendevolezza e non provo che disprezzo per questa sua stupida filosofia da ragazza-agnello alla “porgete-l'altra-guancia”, un'idea che il suo padre beone e manesco deve averle inculcato a forza di sermoni e invettive sputacchiate lungo tutta la sua infanzia.
Né la sua granitica aria da implacabile dura, né il gelo che emana dai suoi occhi azzurri la aiuteranno mai a sottrarsi dai soprusi degli altri, e sospetto che lei lo sappia, e che non gliene freghi assolutamente niente.
Bussa al finestrino e fa cenno a Carlo di abbassarlo.
“Dio!” Sento Giulia boccheggiare. “E' un fucile, quello che ha in mano?”
Lo è. Un fucile da caccia, o forse una carabina.
Non ho la minima idea della differenza. Sono iscritta al wwf da quando avevo dieci anni, e l'idea di sparare a una creatura che vive e respira mi fa sussultare lo stomaco in un modo tale che nessun ragazzo potrà mai sognarsi di eguagliare.
“Che succede, d'Ambrosia?”, chiede Carlo allegramente. “Abbiamo interrotto uno dei tuoi tete-a-tete con la fauna locale?”
Luce ci scruta uno per uno, corruga la fronte e si strofina un sopracciglio.
“Dove siete diretti?”
Dove siete diretti.
Luce d'Ambrosia è una di quelle persone che parlano sempre come se fossero dei cazzo di libri stampati. 
Dove siete diretti.
Abbasso in fretta il finestrino e sbotto: “Che te ne importa?”
Lei mi fissa con una di quelle sue espressioni severe. Devo trattenermi dall'afferrarla per una spalla e scuoterla, gridando fino a lacerarmi i polmoni: Hai sedici anni, porca di quella puttana troia! Svegliati! Smettila di atteggiarti a salvatrice del mondo e vedi di rilassarti!
Non lo faccio, però. Anche se mi formicolano i polpastrelli, anche se il braccio comincia a tremarmi lievemente... distolgo il capo e mi metto a fissare ostentatamente fuori dal parabrezza, con le braccia incrociate.
“La cascina di mio nonno è a dieci chilometri da qui, in fondo alla strada”, dice Carlo.
Mia alza gli occhi al cielo. “Ma che fa, si mette a darle spiegazioni, adesso?”, bisbiglia a beneficio mio e di Giulia.
Io non sono stupita. Immagino che Luce goda di un certo suo... fascino, se questa è la parola giusta. Una sorta di magnetismo carismatico, che trapela dalla sua persona nonostante i vestiti grossolani e il taglio di capelli antidiluviano. Madre Natura è stata generosa con lei.
Questo è un altro dei motivi per cui tutti ce l'hanno tanto con Luce, suppongo. I ragazzi perché si sentono attratti da lei nonostante tutto, ma sanno benissimo di non avere un solo straccio di possibilità di averla. Le ragazze perché sanno che lei non spreca un solo minuto della giornata per cercare di risultare attraente, salvo poi esserlo comunque e senza che questo le richieda il minimo sforzo, mentre a loro occorre metà del pomeriggio soltanto per piastrarsi la chioma oppure passarsi due dita di trucco sulla faccia.
Carlo rivolge a Luce il più smagliante dei suoi sorrisi. “Faremo un barbecue. Abbiamo portato carne, tanta carne, bistecche e arrosticini. Yum! Buona pappa!”
Si passa una mano sullo stomaco e continua a cercare di ammaliarla con quella sua aria da giuggiolone tutto sorrisi, candore e necessità primarie.
Luce mi guarda. Sta cercando insistentemente di incrociate il mio sguardo, e non riesco a capire il perché. So soltanto che la cosa mi irrita oltre ogni dire, perciò mi limito a fare del mio meglio per ignorarla.
“Dovete tornare indietro. Ora.”
“Cosa? Ma abbiamo portato anche la birra... giusto, ragazze?”, replica Carlo, agitandosi sul sedile. Sogghigna. “Più tardi, ci raggiungeranno anche altri amici”, aggiunge in tono confidenziale. “Credo che Giulia abbia intenzione di ubriacarsi e di far perdere la verginità a un capellone di città che probabilmente ce l'ha così piccolo da averlo perso nel borsellino di sua madre quando ancora aveva cinque anni. Dico bene, Giulia?”
“Vaffanculo”, risponde lei, laconica. Il suo tono serafico suscita ancora una volta l'ilarità fragorosa di Mia. Rido anch'io, anche se non lo trovo divertente: più che altro (come ormai inizia a capitarmi sempre più spesso) mi viene voglia di ridere perché non sembra che ci sia molto altro da fare.
“Sarà il caso che Giulia vada a fargliela perderla da qualche altra parte”, ribatte Luce, senza accennare neppure un sorriso. “Non potete restare qui stanotte. Tornate in paese e basta. Dico sul serio, ragazzi.”
Per la prima volta, mi pare di notare una nota di autentica emozione nella salmodia monocorde della sua voce. Mi volto, incuriosita.
Avrei dovuto sapere che era una trappola, naturalmente. I suoi occhi inchiodano i miei e mi trafiggono come un migliaio di aghi acuminati.
Carlo segue la direzione del suo sguardo, poi si volta a metà sul sedile per rivolgersi a me. Inarca le sopracciglia. “Siria?”
“Andate a casa.” Ancora una volta, ho la netta impressione che Luce si stia rivolgendo a me. “Ci sarà la luna piena. E' pericoloso.”
I miei amici scoppiano a ridere, praticamente all'unisono: è come se un burattinaio avesse tirato tutti i fili giusti nello stesso istante, spingendoli a reclinare il capo e a riempire l'abitacolo di tutti quei suoni striduli.
“Cazzo, d'Ambrosia, non fai sul serio!”, esclama Carlo, pizzicandosi una palpebra fra l'unghia del pollice e quella dell'indice. “Di cosa hai paura? Dei lupi mannari? Vorrà dire che ci tireremo dietro un paletto di legno!”
“I paletti sono per i vampiri, coglione”, lo corregge Giulia.
“Cos'è, non lo guardi mai, 'True Blood?'”, rincara la dose Mia, dando a Carlo uno spintone attraverso i sedili.
“”E' a quello che serve il fucile?”, chiedo io, indicando la canna perfettamente oleata. “E' caricata a proiettili d'argento?”
Per favore, andate a casa.”
“Cristo!” Giulia si sdraia a metà su di me per arrivare al finestrino.“Per favore, vaffanculo, d'Ambrosia! Perché non te ne torni alla tua fattoria e non ti rimetti a sparare ai barattoli, o a cantare l'alleluia con tua madre e i tuoi fratelli ritardati, o a fare qualsiasi altra cazzo di cosa capiti di fare agli svitati come voi nel tempo libero? Stiamo solo andando a farci qualche birra e spassarcela un po', va bene? E' sabato. Satana non spalancherà i cancelli dell'inferno solo perché noi peccatori ci siamo riversati in questa parte della campagna d'Abruzzo! E tuo padre non è un lupo. Puzza come se lo fosse, e fa infinitamente più schifo, ma è solo un pezzo di merda come tanti, non una creatura ultraterrena. Puoi prenderlo a calci nelle palle, la prossima volta che prova a picchiare te o un altro dei vostri. Cadrà e non si rialzerà più fino al giorno dopo, te lo garantisco!”
Trattengo il respiro.
Non so neanche il perché, capitemi bene.
Luce si limita ad annuire, più rivolta a se stessa che a noi. Si allontana dall'auto. Non dice niente, ci fa cenno di andare e basta.
“Grazie, e passa una buona serata anche tu!”, trilla Carlo. Scrolla il capo e rimette in moto. La figura di Luce rimpicciolisce rapidamente dietro di noi.
Io la guardo, una ragazzina alta e slanciata, ferma in piedi nella polvere, con un fucile lungo il fianco.
“Ecco, lo sapevo!” Carlo picchia il pugno sul volante e il clacson comincia a strombazzare. Ride. “E' pazza di me, ragazze! Ora non riuscirò più a levarmela di torno, ve lo dico io!”

xxx

I nostri amici ci raggiungono alla cascina nel giro di un paio d'ore. Nel frattempo io Giulia abbiamo messo un po' d'ordine, preparato i piatti, inserito nello stereo la la nostra selezione di brani musicali pop d'ultimissima generazione (tutti tassativamente piratati e scaricati illegalmente), mentre Mia e Carlo si occupavano del barbecue.
Scorre molto alcol. E' sempre così, in queste occasioni. Grazie a Dio, lo reggo abbastanza bene.
Mi siedo accanto al camino acceso perché fa molto freddo, col mio cicchetto in una mano e una sigaretta accesa nell'altra.
Adoro il puzzo del fumo. Mi rivolta lo stomaco e mi fa contrarre le dita dei piedi nelle scarpe, ed è proprio questo il motivo per cui ne vado tanto matta: perché mi fa sentire sporca e cattiva, ribelle e spregiudicata, quando in realtà sono una vergine sedicenne con le unghie laccate di rosso che dorme abbracciata al suo orsacchiotto la notte, e che non ha mai nemmeno baciato nessuno.
Di recente, Mia e Giulia hanno cominciato a stressarmi parecchio, con questa storia del primo bacio.
Dicono che se non mi decido alla svelta, finirò come una di quelle vecchie zitelle piene di gatti che si vedono sempre nei film americani.
Giulia si offre di “prestarmi” il suo bel capellone. Suona in un complessino gothic metal nato da meno di due mesi e la mia amica ritiene che, per me, dovrebbe “andar bene”, perché condividiamo la stessa passione per la letteratura dell'orrore e per la musica underground: mi avverte solo di stare attenta, perché è uno che tende a sbavare troppo e poi di sicuro vorrà pomiciare, bisognerà trovare “un ambiente adatto”.
Io non dico niente. E' come se un doppio strato di ovatta mi imbottisse le pareti del cervello.
Dev'essere l'effetto della birra – per forza – ma nello stesso tempo so che non è soltanto questo.
Dall'altra parte della finestra, la luna è gonfia e bianca e splendida.
Sembra innaturalmente grande, inspiegabilmente vicina.
Per contrasto, il buio della notte pare essersi ammantato d'una oscurità ancora più densa e nera.
Mia sta ancora parlando, ma io non riesco a concentrarmi. Sento le parole, ma non le ascolto; ogni sillaba mi trafigge le orecchie, si riversa come uno scroscio di marea contro le mie orecchie martellate dall'emicrania.
Scolo il resto del bicchiere e mi alzo per andare in bagno.
Sopra il lavello c'è uno specchio. Scelgo di rimanere al buio, perché il chiarore della luna che filtra dall'alto è già abbastanza impietoso con il mio riflesso. Mi spruzzo un po' d'acqua fredda sulle guance.
Dalla stanza accanto arrivano musica, passi concitati, grida e l'appetitoso aroma della carne arrosto.
Dalla stanza di sopra, gemiti, piccoli tonfi, risatine e bisbigli cospiratori.
Nella mia testa, un silenzio assoluto, perfetto, come se stessi fluttuando nello spazio siderale.
Mi mordo le labbra, con forza, fino a quando non riesco ad avvertire il gusto aspro e metallico del sangue.
Ho lo sguardo appannato e le pulsazioni basse. Un velo di sudore mi imperla la fronte, appiccicandomi i capelli alla pelle surriscaldata.
Ripenso a un paio di occhi azzurri e il mio respiro va incontro a una brusca e repentina accelerazione.
Deglutisco e abbasso le palpebre.
Quando le riapro, scorgo una faccia poco familiare nello specchio.
Mi osserva con i miei occhi rubati e sorride con la mia bocca sporca di rossetto, ma è un volto che a stento sono in grado di riconoscere.
Guardo quelle labbra sillabare una parola, senza emettere un suono.
Liberati.
Come ipnotizzata, guardo la mia mano sollevarsi verso la faccia prigioniera nello specchio.
Le unghie scavano nella carne e afferrano un lembo di pelle sanguinolenta, poi cominciano a tirare.
La maschera che indosso viene via senza dolore, rivelando la creatura che c'è sotto.
Accarezzo le mie squame, nere come l'inchiostro, e la soffice peluria delle piume che vibrano sulle mascelle.
C'è del fuoco, adesso, nei miei occhi.
Una fiamma che mi brucia da dentro, che mi libera da quella morsa di gelo che mi attanagliava le viscere.
Inclino il capo da un lato, affascinata.
Questa sono io?
Questa sono io per davvero?
E poi il vetro della finestra comincia a vibrare. Un lungo, straziante ululato risuona nell'oscurità addensata al di là e la mia allucinazione muore: sussulto e torno ad essere semplicemente una ragazza sbronza in un bagno soffocante, con il mascara sbavato a causa delle lacrime versate sopra le tante battute incomprensibili e una porzione abbondante di pelle in bella mostra attraverso la generosa scollatura dell'abito.
“Ehi, Siria! Tutto bene?”, mi chiama Giulia.
“Sì!”
Apro la porta. La mia amica mi squadra da capo a piedi.
“Meno male. Stavamo tutti cominciano a pensare che fossi cascata nella tazza. Carlo si stava già infilando nella sua specialissima tuta di protezione anti-merda per venirti a ripescare. Dio, hai un aspetto orrendo! Che hai?”
“Niente. Hai sentito...”
“Vuoi una mentina?”
“Eh?”
“Per il mio capellone. L'ho montato un po', gli ho fatto le tue lodi e gli ho raccontato che secondo te lui è un gran figo.”
“Ma non stava con te?”
Giulia si stringe nelle spalle. “Forse riesco a combinare qualcosa con Carlo. E' il mio miglior trombamico, in fondo, sai? Ci sa fare, il ragazzo!” Alza e abbassa velocemente le sopracciglia in segno di intesa.
“Quindi stai cercando di scaricarmi il capellone in modo tale che non ci rimanga troppo male, quando gli darai il benservito, ho capito bene?”
“Oh Dio, Siria! Non metterla giù così tragica, d'accordo? Non cominciare. Per te è un'occasione d'oro, comunque. Voglio dire, è un bravo ragazzo e vi piace la stessa roba. E poi lui è come te, e...”
“Che vuol dire, che è come me?” Mi tocca urlare per farmi sentire al di sopra del baccano e della musica.
“Lo sai, tesoro. Non farla tanto lunga. Lui è uno... un pezzo di pane, insomma. Non è mai stato con nessuna ed è un cucciolone. E' perfetto per te.”
Un cucciolone.
“Ho voglia di vomitare.”
“E dai, Siria...”
“No, dico sul serio!”
Me la scrollo di dosso con uno spintone e corro ad accasciarmi sul water.
Sono ancora lì, quando sento le prime urla.
Mi raddrizzo, barcollando e pulendomi la faccia con un pezzo di carta igienica.
Io e Giulia ci scambiamo uno sguardo.
Le note si sono interrotte per qualche momento, perché fra la canzone che si è appena spenta e la successiva ci sono almeno quindici secondi di silenzio registrati su cd.
Non appena la musica assordante comincia a riversarsi di nuovo fuori dalle casse, Giulia ringhia a Carlo: “Spegni quel coso!” Lui ubbidisce. Nella stanza saranno presenti almeno altre sette persone, oltre a me e a Giulia, ma in quel momento ci immobilizziamo tutti, bocca chiusa e orecchie tese, i sensi in allerta.
Il grido si ripete, lacerante e martoriante, e Carlo si precipita alla finestra.
“Porca....E' Luce!”
A Mia casca la mascella. “Che cosa?”
“Le ha dato definitivamente di volta il cervello? Perché strilla così?” Giulia raggiunge Carlo accanto al vetro. Io non mi muovo. Non sono del tutto sicura che le mie gambe ubbidirebbero al comando impartito dal cervello, se anche ci provassi.
Luce è lì fuori che urla, piange e singhiozza disperata.
L'idea di Luce d'Ambrosia in lacrime mi strappa il fiato dai polmoni e mi fa venire voglia di precipitarmi di nuovo a vuotarmi lo stomaco.
I suoi lamenti si avvicendano a quegli agghiaccianti, furiosi ululati inframezzati da ringhi selvaggi.
Prima ancora che riesca a rendermene conto ci ritroviamo tutti fuori, senza cappotti, con le dita avvinghiate intorno alla ringhiera della veranda.
Luce riesce finalmente a raggiungere i gradini.
E' stravolta. Ha una gamba dei pantaloni strappata e la maglia a pezzi. Un occhio gonfio, il labbro spaccato. Le lacrime le rotolano lungo le guance come se una diga fosse brutalmente collassata da qualche parte nella sua testa.
Vi prego!”, la sentiamo implorare, con una voce spezzata che mi da' i brividi. I suoi indimenticabili occhi azzurri traboccano d'orrore e sconcerto. “Andatevene da qui! Lui vi troverà!”
Per un attimo, nessuno si muove.
Nessuno sa come comportarsi.
Poi Giulia marcia giù dai gradini e avvolge Luce in un abbraccio.
“Shhh! Tranquilla, tranquilla... andrà tutto bene”, sussurra con il volto distorto in una smorfia di pietà. “Lui non può più farti del male.”
Scambia uno sguardo con Carlo, che serra nervosamente la mascella e si guarda intorno come se si aspettasse di veder sbucare fuori il padre infuriato di Luce da un momento all'altro. Ma poi il nostro amico annuisce, sforzandosi persino di sorridere. Alza i pollici.
“Certo, sei al sicuro. Se tuo padre proverà anche soltanto a far vedere da queste parti il suo brutto muso da....”
Luce, che fino a quel momento ha accettato le carezze e il conforto offerto da Giulia senza protestare, si scosta bruscamente. Agita la canna del fucile in direzione di Carlo. Se la trascina ancora appresso, quest'arma senza valore, che non le ha offerto alcuna protezione contro quanto le è accaduto stanotte, né nel corso delle notti precedenti... come se ormai fosse un'ineliminabile appendice dei suoi stessi arti.
Carlo indietreggia suo malgrado.
“Non si tratta di mio padre... Non capite? Non posso tenerlo a bada per sempre!” Si strappa dall'abbraccio di Giulia e striscia sui gradini. Alza il viso, quel suo viso incantevole e aperto, bagnato dai raggi della luna. La mite, imperturbabile e incrollabile Luce d'Ambrosia, che stanotte sembra una bambina di cinque anni, spaurita e sola e dolorosamente innocente, e persa nei meandri di un incubo senza fine, terrorizzata al pensiero del baubau che potrebbe afferrarla per la caviglia da un momento all'altro, protendendo i suoi tentacoli d'oblio dal fondo del letto.
Mi cerca con lo sguardo, Luce.
Lo vedo chiaramente, non posso sbagliarmi.
Solleva verso di me una mano sporca di sangue.
“Tu sai!”, dice. “Tu Lo conosci!”
E in quel momento, giuro su Dio... se riesco a evitare di farmela addosso, è soltanto perché lassù qualcuno mi ama.
“Andate via... per favore.”
Luce lascia scivolare il fucile sulle assi e, senza alcuna soluzione di continuità, si lancia a testa bassa contro di me.
Mi coglie alla sprovvista, non provo neanche a scansarmi. E così mi ritrovo questi sessanta chili di corpo febbricitante premuti contro il petto, che mi schiacciano contro la parete mentre lei mi bisbiglia nell'orecchio il suo segreto: “Non c'è modo di tenerlo a freno per sempre.”
Ha il fiato rovente e la pelle così calda che, per un istante, temo posso appiccarmi un incendio addosso anche attraverso i vestiti.
Restiamo così per un interminabile istante, poi Carlo si fa avanti; prova a scrollarmi Luce di dosso con delicatezza, ma lei oppone resistenza, lo allontana con una spallata, si divincola e digrigna i denti. E' spaventosamente forte.
Lui ritrae la mano. Si massaggia le dita ustionate, strabuzzando gli occhi.
Luce picchia il fianco contro la parete, sferra un pugno contro il muro capace di far tremare la casetta di legno fin nelle fondamenta.
“Sta arrivando... sta arrivando!”
Una coppia di tizzoni gemelli si innesca in fondo a quelle iridi del colore del cielo.
L'illuminazione non è buona, ma la forma allungata delle zanne che sgorgano dalle sue labbra è inequivocabile; così come non faccio fatica a sentire, nel silenzio innaturalmente teso della notte, il ringhio selvaggio che le ribolle nel petto.
Luce scuote la testa.
“Sta arrivando”, ripete.
Ma adesso non piange più; le sue mani sono ferme. Picchia di nuovo il palmo contro la parete.
“Sta arrivando.”
Bam.
“Arriva.”
Bam! Bam! Bam!
Incurva le spalle. Ripiega gli artigli. Solleva il volto e ruggisce alla luna.
Un'irta peluria bionda le ricopre il volto dai lineamenti deformati. I suoi denti aguzzi si protendono in un ghigno ebbro di ferocia primordiale.
Eccomi!”

xxx

Quello che accade dopo, lo ricorderò più avanti soltanto in un modo molto confuso.
Misericordia divina, immagino.
O forse soltanto un trucco escogitato dalla mia mente, un sistema come un altro per cercare di sopravvivere all'orrore senza rischiare di perdermici dentro per l'eternità.
Luce – no, la cosa che da dentro di lei era emersa per spogliarsi di quell'involucro effimero che si chiamava Luce – si avventa sul capellone.
E' buffo, buffo in un modo che mi fa venire voglia di piangere, ma non riesco neanche a ricordare il suo nome... l'abbiamo sempre chiamato così fra di noi, il “capellone”.
Gli spezza il collo e lo getta da parte come se valesse meno di niente, poi passa alla vittima successiva.
Mia urla con quanto fiato ha in gola mentre la bestia le affonda il muso nella spalla e comincia a strappare e masticare.
Alti schizzi del suo sangue caldo mi gocciolano sul viso, ma non riesco a muovermi: non posso fare altro che guardare questa creatura, questa maestosa, ancestrale, famelica figlia dei boschi e delle montagne abbattere Carlo attraverso un'unica, possente zampata, facendogli volare via il fucile dalle mani. Dalla canna parte un colpo che mi centra di striscio. Avverto una scudisciata di dolore nel braccio, un rivo di sangue che scende a inzupparmi la pelle, ma non mi lascio scappare neanche un lamento.
Il goffo tentativo di Carlo di sparare alla creatura mi salva la vita. Lui non lo saprà mai: se ne è già andato, gorgogliando sangue misto a schiuma bianca. Il mostro nel frattempo raggiunge Giulia, la atterra, le salta sulla schiena.
Questa salutare scudisciata di sofferenza fisica mi riporta alla realtà, al puzzo delle frattaglie, allo schiocco delle ossa spezzate, alla carneficina.
Abbranco il fucile e mi scosto dal volto una ciocca che il vento si ostina a farmi ricadere sulla bocca.
“D'Ambrosia!”, urlo. “Luce!”
Il mostro non si volta nemmeno.
E perché mai dovrebbe?
Non c'è Luce in Lui, anche se Lui è in Luce in ogni istante del giorno e della notte, che ci sia la luna piena oppure no.
Continua a consumare il suo pasto.
Le lacrime mi appannano la vista, mentre prendo la mira e sparo. Mi tremano le mani.
Forse è per questo che sbaglio, anche se mi trovo così vicina al mio obiettivo.
La pallottola gli si conficca al centro della schiena anziché in fondo; uggiolando, la bestia si inarca, sussulta e crolla.
Poso un ginocchio per terra e la rivolto su un fianco.
Non credo che possa muoversi. Ha gli occhi aperti e respira, l'immenso petto che si solleva e e si abbassa come un mantice, ma soffre molto.
Alzo di nuovo la canna e faccio per piantargli una pallottola nell'occhio, quando il bastardo ricorre al trucchetto che una parte di me aveva paventato fin dall'inizio.
Il fuoco dentro quelle iridi muore, lasciando intravedere il cielo sgombro di un limpido pomeriggio d'estate.

xxx

Non posso ucciderla.
Fra qualche anno, quando ripenserò a questo momento, ne comprenderò la ragione.
Ma adesso no. So solo che non riesco a premere quel grilletto pur desiderandolo intensamente, anche se so che è la cosa più giusta da fare, forse l'unica cosa giusta in una situazione completamente sbagliata.
Barcollo in casa, mi procuro una coperta, gliela butto sulle spalle. Mi raggomitolo al suo fianco, affondo la testa nella sua pelliccia, la pelliccia bionda di questa cosa che è l'unica cosa viva e calda e autentica nel raggio di chilometri; la bagno con le mie lacrime, inalo il suo odore di febbre e perdizione e sangue appena versato.
Una parte di me spera che muoia prima di svegliarsi. Un'altra parte, più profonda, comincia già a sospettare che, se accadesse, non mi resterebbe altro da fare al mondo se non seguirla ovunque sia fuggita.
Ma Luce non scappa. Poco prima del sorgere del sole, riassume il suo volto umano.
Il chiarore del giorno gioca con le sue lunghissime ciglia.
Apre gli occhi, guarda le nostre mani intrecciate, sporche di sangue. Ricomincia a piangere.
Annuisco, mi poso la sua testa sul seno, percorro l'elaborata mappa di cicatrici sul suo avambraccio con la punta dei polpastrelli. Mi aggrappo a lei e lei si aggrappa a me, e non perché non ci sia altro da fare: soltanto perché di colpo è quello che scelgo.
“Uccidimi.”
“No.”
“Sono un mostro!”
“Sì. No. E io non sono migliore di te, in ogni caso.”
Questo la fa singhiozzare ancora più forte, perché ha capito cosa vuol dire.
“Mi dispiace, mi dispiace...”
Le accarezzo i capelli, senza dire niente.
Il suo sangue, che si è mescolato al mio attraverso le nostre reciproche ferite, mi brucia nelle vene e mi gonfia le arterie.
Il suo sangue, nel mio corpo.
Un uomo si avvicina in bicicletta. Si ferma, smonta, sale verso di noi. Ha le spalle curve e gli occhi spiritati, una serie di lividi vistosi che gli decorano il mento e le guance barbute.
Mi allontano da Luce, la lascio alle cure di suo padre.
Lui la abbraccia forte, le dice che andrà tutto bene, ma ha una scena rossa di massacro impressa nelle retine, e non riesce in alcun modo a nasconderlo.
Luce ha di nuovo perso i sensi.
“Starà bene?”
Lui annuisce. “Loro... guariscono in fretta.”
E' quello che sospettavo.
L'uomo tira su con il naso. Mi guarda, burbero e smarrito.
“Ho provato a tenerla lontana da... tutto quanto. Mio fratello, lui... era come lei. L'alcol, le risate, la musica... tutte queste cose agitano la bestia, la chiamano fuori.” Scuote il capo, sconsolato. “Lei non riesce a sentire le cose come le sentono gli altri, sai? Non può. Per lei è sempre tutto più vivido, più intenso, più forte. I suoni, i colori, gli odori...” Si succhia una gengiva e scrolla il capo, impotente. 
“Lo so", dico.
Fa una pausa, poi accenna al mio braccio con uno scatto del capo.
“Diventerai come lei.”
Rimango in silenzio. Che cosa potrei dire?
Che so anche questo? Che Giulia si sbagliava?
Sotto tantissimi punti di vista, io sono sempre stata come lei.
“Dovrete sparire.”
“Sì”. Faccio un respiro profondo, mi sfrego la fronte. “Le dica che verrò a prenderla al calare del buio. Okay?”
Annuisce. Esita, poi aggiunge: “Ha sempre saputo che saresti stata tu, sai? A... a prendere il mio posto. Ha sognato di te. Ho vegliato su di lei dal giorno in cui è nata, sapendo che era diversa, che aveva bisogno d'essere protetta, proprio come il resto del mondo, dalla cosa dentro di lei. Ho badato alla mia Luce per sedici anni e ho combattuto il suo demone, vincendo qualche volta e perdendo più spesso, ma sempre lottando, sempre lottando per lei. Ora ho finito. Ho finito.”
Lo ripete come se ancora non riuscisse a crederci fino in fondo, la voce spezzata, i pugni dischiusi lungo i fianchi.
Li guardo sparire in lontananza, con il vento che mi sferza il vestito intorno alle gambe.
Domani, domani i miei amici mi mancheranno.
Cerco di non pensare a noi quattro da ragazzini, a quella nostra estate sul lago, quando Carlo mise una rana nella scrivania della tipa che ci sorvegliava e Giulia uscì fuori dai gangheri. Cerco di non pensare alla fossetta sorniona che compariva sul volto di lui ogni volta che ne combinava una delle sue, o al sorriso sdentato di Mia, a tutte le volte che le ragazze si sono presentate a casa mia con una vaschetta di gelato in una sporta e un dvd in un'altra, alle chiacchiere, ai risolini, ai cuscini lanciati da un capo all'altro della mia stanza.
E' tutto troppo, troppo fottutamente patetico.
E io non posso essere patetica, non adesso.
Vorrei solo sentire il dolore, e in effetti lo sento.
Una pulsazione costante e sorda in fondo alle viscere, che batte sepolta in profondità come un cuore segreto.
Se mi protendo per ascoltarlo, ho la sensazione di riuscire quasi a raggiungerlo, a toccarlo... quasi.
Qualcosa mi dice che, da oggi in poi, mi sentirò così per sempre.
Ma sento anche qualcos'altro. Mi guardo le dita, sporche di quel sangue troppo rosso, quasi nero alla luce rivelatrice del giorno.
Provo sollievo. Perché alla prossima luna piena, tutto questo porterà finalmente la cosa dentro di me in superficie. La sguinzaglierà nel mondo.
Correrò nuda nei boschi.
Ululerò alla luna.
Avvertirò il tocco della terra e del vento sulla pelle.
Sarò libera. 
E avrò fame.

FINE

14 commenti:

  1. Sophie *_* ma è magnifico :3 e il finale così originale e piebno di senso di liberta??? È magnifico! Un grosso grosso applauso a te :P

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    1. Oh, Francy, grazie infinite!!! ^____^ Sono così contenta che ti sia piaciuto... avrò un enorme sorrisone felice stampato in faccia per il resto della giornata, e sarà tutto merito vostro! Grazie ancora, di cuore!!! :D

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  2. Intrigante ,misterioso ed estremamente interessante..
    Sei costantemente portata ad andare avanti e...io devo rileggerlo ancora con più calma!
    Grazie Sophie..bacio!

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    1. Grazie mille a te, Nella, sei davvero gentilissima... Non sai la gioia che mi ha dato leggere queste parole! ^______^

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  3. E' splendido!!!!! *___________* Complimenti davvero!!!! :)

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    1. Siannalyn, grazie infinite!!! Sono felicissima che ti sia piaciuto... Per me è un onore e una gioia immensa! ^______^

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  4. Complimenti Sophie *_* Storia davvero originale, mi è piaciuta molto :D

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    1. Grazie mille, Aenor, sei davvero gentilissima! Sono così felice che ti sia piaciuto!!! ^_____^

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  5. Complimenti, è davvero bellissimo *-*
    Anche se c'è il lato negativo dei racconti: ti lasciano con la voglia di averne ancora...
    Grazie per averlo condiviso :)

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    1. Grazie mille a te per aver letto, Kate, dal profondo del cuore! ^______^ Leggere queste tue parole rappresenta per me una gioia e un incoraggiamento immenso, sono davvero felicissima! :D

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  6. Oddiooooo, ma è meravigliosooo *__* ne vogliooo ancoraaaa!!
    Complimenti!!

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    1. Grazie infinite, Mary: non sai quanto piacere mi ha fatto leggere il tuo commento... Sono ufficialmente al settimo cielo!! *____* Grazie ancora! :D

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